Ricorso proposto dalla Regione Veneto (c.f. 80007580279 - P. IVA
02392630279), in persona del presidente della giunta regionale  dott.
Luca Zaia (c.f. ZAILCU68C27C957O),  autorizzato  con  delibera  della
giunta regionale n. 131 del 7 febbraio 2017 (all. 1), rappresentato e
difeso, per mandato a margine del  presente  atto,  tanto  unitamente
quanto   disgiuntamente,    dagli    avv.ti    Ezio    Zanon    (c.f.
ZNNZEI57L07B563K) coordinatore dell'Avvocatura regionale, prof.  Luca
Antonini (c.f. NTNLCU63E27D869I) del Foro di  Milano  e  Luigi  Manzi
(c.f. MNZLGU34E15H501V) del Foro di Roma, con domicilio eletto presso
lo studio di quest'ultimo  in  Roma,  Via  Confalonieri,  n.  5  (per
eventuali   comunicazioni:   fax   06/3211370,   posta    elettronica
certificata luigimanzi@ordineavvocatiroma.org); 
    Contro il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  pro  tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello  Stato,  presso
la quale e' domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; 
    per  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  delle
seguenti disposizioni della  legge  n.  232  dell'11  dicembre  2016,
recante «Bilancio di previsione dello Stato  per  l'anno  finanziario
2017 e bilancio pluriennale per  il  triennio  2017-2019»  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale  n.  297  del  21  dicembre  2016  -  Suppl.
Ordinario n. 57: 
    1) art. 1, comma 42, lettera a); 
    2) art. 1, comma 85; 
    3) art. 1, comma 140; 
    4) art. 1, comma 269, 270 e 272; 
    5) art. 1, comma 271; 
    6) art. 1, comma 275; 
    7) art. 1, comma 390; 
    8) art. 1, comma 392; 
    9) art. 1, comma 395 e 396; 
    10) art. 1, comma 527; 
    11) art. 1, comma 528; 
    12) art. 1, comma 615; 
    13) art. 1, comma 627. 
 
                               Motivi 
 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 42,  lettera  a),
per violazione degli articoli 3, 97 e 119 della Costituzione. 
    L'art. 1, comma 42, lettera a), proroga al 2017 la sospensione  -
gia' disposta per il 2016 dal comma 26 dell'art.  1  della  legge  28
dicembre 2015, n. 208 - dell'efficacia delle leggi regionali e  delle
deliberazioni comunali, per la parte in cui aumentano i tributi e  le
addizionali attribuite  ai  medesimi  enti  rispetto  ai  livelli  di
aliquote o tariffe applicabili per l'anno 2015. 
    Si precisa che con il ricorso iscritto al reg.  ric.  n.  17  del
2016, pubbl. nella Gazzetta Ufficiale del 20 aprile 2016  n.  16,  la
regione Veneto ha gia' impugnato l'art. 1, comma 26, della  legge  di
bilancio 2016. 
    In relazione alla proroga ora disposta con l'art.  1,  comma  42,
lettera a) si aggravano le medesime censure, poiche' il  contesto  di
riferimento   che   aveva   indotto   all'impugnativa   non   si   e'
sostanzialmente modificato. 
    La disposizione ora impugnata, infatti, blocca,  per  quanto  qui
interessa, il potere delle  Regioni  di  aumentare  le  aliquote  dei
tributi e delle addizionali rispetto a quelle  deliberate,  entro  la
data del 30 luglio 2015, per l'esercizio 2015. 
    Al contempo, pero', i) l'art. 1, al comma 392, riduce il  livello
di finanziamento del Servizio sanitario  nazionale  cui  concorre  lo
Stato per il 2016 (si veda, il punto sub 8 del presente ricorso), ii)
diverse altre disposizioni, inoltre, determinano  una  riduzione  del
gettito  dei  tributi  propri  regionali   derivati,   vuoi   perche'
modificano  direttamente  le  discipline  delle  basi  imponibili  di
tributi come l'Irap (art. 1, comma 21), vuoi  perche'  modificano  la
disciplina di tributi statali come l'Irpef  che  pero'  incidono  sul
gettito dell'addizionale Irpef,  come  nel  caso  dalla  introduzione
dell'Iri   (art.   1,   comma    547),    l'imposta    sul    reddito
dell'imprenditore, che si applica a imprenditori individuali soggetti
all'Irpef  e  di  conseguenza  incide  al  ribasso   sull'addizionale
regionale. 
    Da una parte,  dunque,  il  legislatore  statale  impedisce  alle
Regioni di aumentare le aliquote relative a tutti i  tributi  propri,
dall'altra riduce il finanziamento del Fondo sanitario e rimodula  al
ribasso le basi imponibili dei tributi propri derivati regionali. 
    E' evidente che  in  questo  contesto  normativo  le  Regioni  si
trovano a dover garantire il servizio sanitario regionale, anche  con
prestazioni  aggiuntive  (i  nuovi  LEA  che  appaiono   sottostimati
nell'impatto   finanziario),   con   risorse   statali   ridotte    e
insufficienti, venendo nel contempo private, in violazione  dell'art.
119 della Costituzione, della possibilita' di esercitare un  autonomo
sforzo fiscale. 
    Ma vi e' di piu'. 
    A tale situazione gia' critica, si  aggiunge  la  previsione,  da
parte dell'art. 1, comma 475, di pesanti  sanzioni  per  il  caso  di
mancato conseguimento  di  un  saldo  non  negativo,  in  termini  di
competenza, tra  le  entrate  finali  e  le  spese  finali  da  parte
dell'ente ai sensi dell'art. 1, comma 466. 
    Tra  queste:  il  divieto  di  «impegnare  spese  correnti»,   di
«ricorrere all'indebitamento per gli investimenti», di «procedere  ad
assunzioni  di  personale  a  qualsiasi  titolo,   con   qualsivoglia
tipologia  contrattuale,  compresi  i  rapporti   di   collaborazione
coordinata e continuativa e di somministrazione», ecc. 
    E' questo dunque il contesto complessivo  all'interno  del  quale
deve essere considerata la norma impugnata. 
    Lo scrivente patrocinio evidentemente non ignora  che  il  blocco
provvisorio dell'aumento  delle  addizionali  e  dei  tributi  propri
derivati, in recedenti occasioni, non e' stato  ritenuto  illegittimo
dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte (sentenze nn.  381/2004,
284/2009 e 298/2009). 
    E' dirimente pero' evidenziare  che  tale  valutazione,  relativa
peraltro  a  un  blocco  giustificato   dall'imminenza   di   riforme
fondamentali  (patto  di  stabilita'  e  federalismo  fiscale),   non
riguardava, come invece nel caso di specie, la proroga di  un  blocco
(che tende quindi ad assumere un carattere permanente) gia'  disposto
senza un particolare motivo se non quello,  meramente  politico  (con
cio' violando l'autonomia della politica  impositiva  regionale),  di
«contenere il livello complessivo della pressione tributaria»  (cosi'
recita l'art. 26 della legge di stabilita'  2016,  prorogato  con  la
disposizione qui impugnata). 
    Inoltre, quella valutazione si  inseriva  in  contesti  normativi
radicalmente diversi da quello  attuale,  in  cui  non  solo  non  si
prefigurava i) un  definanziamento  del  Fondo  sanitario  e  ii)  un
obbligo di garanzia di nuovi LEA con un  finanziamento  evidentemente
sottostimato, ma dove, soprattutto, iii)  nell'ambito  del  Patto  di
stabilita' interno alle Regioni veniva solo imposto un mero tetto  di
spesa, che, sebbene sanzionato in termini analoghi a quello  attuale,
rimaneva del tutto indifferente (riguardando solo il  versante  della
spesa e non quello dell'entrata) rispetto  alla  possibilita'  di  un
autonomo sforzo fiscale regionale. 
    Ora, invece, con il superamento del Patto di  stabilita'  interno
alle Regioni e' imposto un pareggio contabile  di  bilancio,  il  cui
mancato  conseguimento  -  che  comporta  sanzioni  come  il  divieto
dell'indebitamento per la spesa di investimento  -  potrebbe  trovare
direttamente causa nell'irragionevole blocco  dell'autonomia  fiscale
regionale, che appunto  preclude  alle  Regioni  la  possibilita'  di
pareggiare il bilancio attraverso un proprio sforzo fiscale. 
    Si configura, in conclusione, con tutta evidenza  una  situazione
normativa  profondamente  diversa  da  quella  in   altre   occasioni
giudicata non illegittima  dalla  giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma
Corte. 
    Nella attuale situazione normativa,  la  disposizione  impugnata,
che impedisce un autonomo sforzo fiscale,  consentendo  alla  Regione
solo la possibilita' di ridurre  la  spesa,  in  cio'  incidendo  sui
servizi erogati ai cittadini, risulta quindi irragionevole e mancante
di proporzionalita' con una conseguente violazione dell'art. 3  Cost.
e del principio di buon andamento della pubblica  amministrazione  di
cui all'art. 97 Cost. che ridonda chiaramente, per quanto e' -  sopra
detto, sull'autonomia  finanziaria  regionale  di  cui  all'art.  119
Cost., anche direttamente violata dalla norma impugnata. 
    A tale  ultimo  riguardo  si  fa  riserva  fornire  dimostrazione
contabile dell'irragionevole e rilevante incidenza della disposizione
in parola. 
2)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,   comma   85,   per
violazione  dell'articoli  117,  terzo  comma,  della   Costituzione,
nonche' degli articoli 5 e 120 della Costituzione per violazione  del
principio di leale collaborazione. 
    L'art. 1, comma 85 dispone, nell'ambito del piano di investimenti
immobiliari di cui all'art. 65, legge n.  153/1969  (piano  triennale
degli investimenti per il triennio 2016-2018),  che  l'INAIL  destini
100  milioni  di  euro  per  la  realizzazione  di  nuove   strutture
scolastiche. 
    La  norma  prevede  che  le   Regioni   dichiarino   la   propria
disponibilita' ad aderire all'operazione per la costruzione di  nuove
strutture scolastiche, facendosi  carico  del  canone  di  locazione,
comunicandola formalmente alla Presidenza del Consiglio dei  ministri
-  Struttura   di   missione   per   il   coordinamento   e   impulso
nell'attuazione  di  interventi  di  riqualificazione   dell'edilizia
scolastica (SMES), entro il termine perentorio del 20  gennaio  2017,
secondo  modalita'  individuate  e  pubblicate  nel   sito   internet
istituzionale della medesima Struttura. 
    Successivamente   alla   ricezione   delle    dichiarazioni    di
disponibilita' delle Regioni, la medesima  disposizione  prevede  che
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri,  d'intesa  con
il Ministro del lavoro e delle politiche  sociali,  con  il  Ministro
dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca e con  il  Ministro
dell'economia e delle  finanze,  siano:  i)  individuate  le  Regioni
ammesse alla ripartizione, ii) assegnate  le  risorse  disponibili  e
iii) stabiliti i criteri di selezione dei progetti. 
    La disposizione che qui si impugna e' riconducibile alla  materia
«edilizia scolastica», la  quale,  per  esplicito  riconoscimento  di
codesta  ecc.ma  Corte,  si  trova  all'incrocio   di   piu'   ambiti
competenziali, quali il «governo del territorio»,  «l'energia»  e  la
«protezione civile»,  tutti  rientranti  nella  potesta'  legislativa
concorrente di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost.  (sent.  n.  62
del 2013). 
    Il comma censurato, quindi, se, da un lato, destina risorse in un
ambito materiale riconducibile alla competenza regionale concorrente,
dall'altro, non prevede alcuna forma di concertazione con le Regioni,
ne' ai fini dell'adozione  dei  criteri  di  selezione  dei  progetti
ammessi alla  ripartizione,  ne'  riguardo  alla  determinazione  dei
canoni di locazione, in cio' traducendosi in un onere indeterminato a
carico delle regioni che  vi  aderiscono  con  conseguente  possibile
lesione patrimoniale delle stesse. 
    Al riguardo,  e'  opportuno  premettere  quanto  ha  recentemente
statuito codesta ecc.ma  Corte  con  la  sentenza  n.  284  del  2016
vertente su una analoga fattispecie. 
    Chiamata  a  pronunciarsi   sulla   legittimita'   costituzionale
dell'art. 1, comma 153, legge n.  107/2015,  che  disponeva  che  con
decreto del Ministro dell'istruzione (d'intesa con  la  Struttura  di
missione per il coordinamento e impulso nell'attuazione di interventi
di riqualificazione dell'edilizia scolastica, istituita  con  decreto
del Presidente del  Consiglio  dei  ministri)  fossero  ripartite  le
risorse previste nell'ambito degli investimenti immobiliari di cui al
piano di impiego dei fondi disponibili dell'INAIL per la  costruzione
di scuole innovative (ex art. 65, legge n. 153/1969), questa Corte ha
stabilito che: ««nelle materie di competenza  concorrente,  allorche'
vengono attribuite funzioni amministrative a  livello  centrale  allo
scopo di individuare norme  di  natura  tecnica  che  esigono  scelte
omogenee su tutto il territorio nazionale  improntate  all'osservanza
di standard e metodologie desunte dalle  scienze,  il  coinvolgimento
della conferenza Stato Regioni puo' limitarsi all'espressione  di  un
parere obbligatorio (sentenze n. 265 del 2011, n. 254  del  2010,  n.
182 del 2006, n. 336 e n. 285 del 2005)» (sentenza n. 62 del 2013).» 
    «Nel  caso  di  specie»  -   prosegue   la   sentenza   -   «tale
coinvolgimento regionale non e' previsto e la disposizione impugnata,
di conseguenza, va dichiarata  costituzionalmente  illegittima  nella
parte in cui non prevede che il decreto  del  Ministro  che  provvede
alla ripartizione delle risorse sia adottato  sentita  la  Conferenza
Stato Regioni.» (sent. n. 284 del 2016). 
    La disposizione impugnata, invece, non prevede  alcuna  forma  di
coinvolgimento delle Regioni: non solo un'intesa, ma nemmeno un  mero
parere. 
    Da cio' deriva che essa risulta lesiva dell'art. 117, terzo comma
e del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e  120
Cost. 
3)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma   140,   per
violazione  degli  articoli  117,  terzo  comma,  118  e  119   della
Costituzione, nonche' degli articoli 5 e 120 della  Costituzione  per
violazione del principio di leale collaborazione. 
    L'art. 1,  comma  140,  prevede  l'istituzione,  nello  stato  di
previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, di  un  Fondo
con una dotazione di 1.900 milioni di euro  per  l'anno  2017,  3.150
milioni per l'anno 2018,  3.500  milioni  per  l'anno  2019  e  3.000
milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2032. 
    Il suddetto  Fondo  e'  destinato  a  finanziare  interventi  nei
seguenti settori: 
    a)  trasporti,  viabilita',  mobilita'   sostenibile,   sicurezza
stradale,   riqualificazione   e   accessibilita'   delle    stazioni
ferroviarie; 
    b) infrastrutture, relative alla rete  idrica  e  alle  opere  di
collettamento, fognatura e depurazione; 
    c) ricerca; 
    d) difesa del suolo e dissesto idrogeologico, nonche' risanamento
ambientale e bonifiche; 
    e) edilizia pubblica, compresa quella scolastica; 
    f) attivita' industriali  ad  alta  tecnologia  e  sostegno  alle
esportazioni; 
    g) informatizzazione dell'amministrazione giudiziaria; 
    h) prevenzione del rischio sismico; 
    i) riqualificazione urbana  e  sicurezza  delle  periferie  delle
citta' metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia; 
    j) eliminazione delle barriere architettoniche. 
    La disciplina relativa all'utilizzo del suddetto fondo e' rimesso
a uno o piu' decreti del Presidente del Consiglio  dei  ministri,  da
adottare su proposta del Ministro dell'economia e  delle  finanze  di
concerto con  i  Ministri  interessati,  in  relazione  ai  programmi
presentati dalle amministrazioni centrali dello Stato. 
    Gli  schemi  di   decreto   sono   trasmessi   alle   Commissioni
parlamentari competenti per materia, le quali  esprimono  il  proprio
parere entro trenta giorni dalla data dell'assegnazione; decorso tale
termine, i decreti possono essere adottati anche in mancanza di  tale
parere. 
    Tali decreti individuano gli interventi da finanziare  nonche'  i
relativi importi. 
    La norma prevede, inoltre,  che  i  predetti  provvedimenti,  ove
necessario, indichino le modalita' di utilizzo dei contributi,  sulla
base di criteri di economicita' e  contenimento  della  spesa,  anche
attraverso operazioni finanziarie con oneri di ammortamento a  carico
del bilancio dello Stato, con la Banca europea per  gli  investimenti
(BEI), con la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (CEB), con  la
Cassa depositi  e  prestiti  S.p.A.  e  con  i  soggetti  autorizzati
all'esercizio  dell'attivita'  bancaria,  compatibilmente   con   gli
obiettivi programmati di finanza pubblica. 
    In questi termini il Fondo e' destinato  a  finanziare  programmi
presentati  dalle  amministrazioni  centrali  dello  Stato,  ma   che
intervengono  anche  in  settori  che   investono   direttamente   le
competenze concorrenti delle Regioni,  senza  pero'  prevedere  alcun
coinvolgimento delle Regioni interessate. 
    In  particolare,  gli  interventi   finanziabili   incidono   e/o
interferiscono,  salvo   quello   inerente   alla   informatizzazione
dell'amministrazione   giudiziaria,   su   materie   sicuramente   di
competenza concorrente come la «ricerca scientifica  e  tecnologica»,
«grandi  reti  di  trasporto  e   di   navigazione»,   «governo   del
territorio», «protezione civile», «edilizia scolastica». 
    E' evidente quindi che l'intervento normativo statale  struttura,
abilitando  le  amministrazioni  centrali  a  presentare  i  relativi
progetti,   un'avocazione   in    sussidiarieta'    della    funzione
amministrativa e delle modalita' di finanziamento relative a  materie
rimesse alla competenza concorrente delle Regioni. 
    Tuttavia tale intervento  normativo  disattende  completamente  i
presupposti  che  soli,  secondo  la  consolidata  giurisprudenza  di
codesta ecc.ma Corte costituzionale, rendono  legittima  la  suddetta
chiamata in sussidiarieta':  «la  allocazione  al  superiore  livello
statale di attribuzioni spettanti alle Regioni, secondo  la  costante
giurisprudenza costituzionale, presuppone che siano previste adeguate
forme di coinvolgimento delle Regioni al fine di tutelare le  istanze
regionali costituzionalmente  garantite  in  un  ambito  che  involge
indubbiamente profili di competenza concorrente (sentenza n. 303  del
2003, alla  quale  ha  fatto  seguito  una  giurisprudenza  costante;
sentenza n. 16 del 2010)» (cosi' sentenza n. 92 del 2011). 
    Pertanto, dal momento che in relazione ai decreti del  Presidente
del Consiglio dei ministri con cui sono individuati gli interventi da
finanziare, i relativi importi e,  se  necessario,  le  modalita'  di
utilizzo dei contributi, non e' previsto alcun  coinvolgimento  delle
Regioni, si determina la violazione degli articoli 117, terzo  comma,
118 e 119 Cost. nonche' del principio di leale collaborazione di  cui
agli articoli 5 e 120 Cost. 
4) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 269, 270  e  272,
per violazione degli articoli 3, 97, 117, terzo e quarto comma,  118,
119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui
agli articoli 5 e 120 della Costituzione. 
    L'art. 1, comma 269, ai fini della  gestione  delle  risorse  del
fondo integrativo statale per la concessione delle borse di studio di
cui all'art. 18, decreto legislativo n. 68/2012, prevede che ciascuna
Regione  razionalizzi  l'organizzazione  degli  enti  erogatori   dei
servizi per il diritto allo studio mediante l'istituzione, entro  sei
mesi dalla data di entrata in vigore della legge, di  un  unico  ente
erogatore dei medesimi servizi. La  disposizione  impugnata  assicura
negli organi direttivi dell'ente erogatore una  rappresentanza  degli
studenti.  Sono  fatti  salvi,   in   ogni   caso,   i   modelli   di
sperimentazione di cui all'art. 12, decreto  legislativo  n.  68/2012
(modelli  nella  gestione  degli  interventi  per   la   qualita'   e
l'efficienza  del  sistema  universitario,  per   cui   il   Ministro
dell'istruzione, dell'universita'  e  della  ricerca  puo'  stipulare
protocolli e  intese  sperimentali  con  le  Regioni  e  le  province
autonome, sentiti il Consiglio nazionale degli studenti  universitari
- CNSU,  il  Consiglio  nazionale  di  alta  formazione  artistica  e
musicale - CNAM e la Conferenza dei rettori delle universita' - CRUI,
anche con l'attribuzione  di  specifiche  risorse  nei  limiti  delle
proprie disponibilita' di bilancio). 
    Il successivo comma 270  qualifica  poi  la  norma  citata  quale
principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica. 
    Il successivo comma 272 prevede,  inoltre,  che  le  risorse  del
fondo integrativo statale per la concessione di borse di  studio,  di
cui all'art. 18, comma 1, lettera  a),  del  decreto  legislativo  29
marzo 2012, n. 68, siano  attribuite  direttamente  al  bilancio  del
suddetto unico ente regionale erogatore dei servizi  per  il  diritto
allo studio, entro il 30 settembre di ogni anno, disponendo  poi  che
nelle more della  razionalizzazione  da  parte  di  ciascuna  Regione
dell'organizzazione degli enti erogatori dei servizi per  il  diritto
allo studio (prevista dal precedente comma  269),  le  risorse  siano
comunque   trasferite   agli   enti   regionali   erogatori,   previa
indicazione, da parte di ciascuna Regione, della quota da  trasferire
a ciascuno di essi. 
    In  via  preliminare,  e'  opportuno   richiamare   la   costante
giurisprudenza   di   codesta   ecc.ma   Corte    in    materia    di
autoqualificazione normativa: al fine di individuare la  materia  cui
ascrivere le  norme  impugnate,  la  definizione  data  dallo  stesso
legislatore e' priva di carattere precettivo e vincolante,  dovendosi
invece fare riferimento all'oggetto della disciplina in questione (ex
multis sentenze n. 188 del 2014, nn. 200 e  164  del  2012,  182  del
2011, 247 del 2010). Il comma 270, pertanto, nel definire la  materia
di cui al comma  269  all'interno  del  coordinamento  della  finanza
pubblica, non assume alcun valore prescrittivo. 
    La norma contenuta nel comma 269,  del  resto,  non  puo'  essere
comunque  inquadrata  all'interno  dei  principi   fondamentali   del
coordinamento finanziario. Secondo costante giurisprudenza di codesta
ecc.ma Corte, il legislatore statale  puo'  limitare  l'autonomia  di
spesa degli enti  territoriali  al  fine  di  garantire  l'equilibrio
complessivo dei conti pubblici (ex multis, sentenze n. 43  del  2016,
n. 236 del 2013, n. 182 del 2011, n. 207 e n.  128  del  2010).  Tali
vincoli, tuttavia, «possono  considerarsi  rispettosi  dell'autonomia
delle Regioni e degli enti  locali  quando  stabiliscono  un  "limite
complessivo,  che  lascia  agli  enti  stessi   ampia   liberta'   di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi  di  spesa
(sentenza n. 182 del 2011, nonche' sentenze n. 297 del 2009,  n.  289
del 2008 e n. 169 del 2007"» (sentenza n. 236 del 2013). 
    La norma de qua, invece, al fine di razionalizzare gli  enti  del
diritto allo studio, impone a tutte le Regioni  la  creazione  di  un
unico ente adibito all'erogazione dei  relativi  servizi  (prevedendo
poi al comma 272 che al bilancio di tale  ente  vengano  direttamente
attribuite  le  risorse  del  fondo  integrativo   statale   per   la
concessione di borse di studio). Essa quindi non si limita a  fissare
un  limite  complessivo  di  spesa  oppure  obiettivi   generali   di
risparmio, ma introduce una precisa norma di dettaglio, in violazione
quindi degli articoli 117, terzo comma, e 119 Cost. sul coordinamento
della finanza pubblica,  che  incide  direttamente  sulle  competenze
residuali delle Regioni in materia di «organizzazione  amministrativa
regionale» e di «diritto allo studio», non  lasciando  alcuno  spazio
per   l'esercizio   della   relativa    autonomia    legislativa    e
amministrativa, violando quindi anche l'art. 117, quarto comma e  118
della Costituzione. 
    Al riguardo occorre richiamare quanto precisato dalla sentenza n.
236  del  2013,  avente  ugualmente  ad  oggetto  la  soppressione  o
l'accorpamento di enti, agenzie o organismi degli  enti  territoriali
da parte del legislatore statale. Le norme  ivi  censurate  (art.  9,
commi 1-6, decreto-legge n. 95 del  2012)  disponevano  che  Regioni,
Province e  comuni  sopprimessero  o  accorpassero  enti,  agenzie  e
organismi riducendone gli oneri finanziari in misura non inferiore al
20 per cento. In quel caso, codesta ecc.ma  Corte  ha  ricondotto  le
relative  disposizioni  all'interno  dei  principi  fondamentali   in
materia di coordinamento della finanza pubblica, specificando pero' -
e' dirimente considerarlo -  che  esse,  «dopo  aver  indicativamente
previsto la possibilita' di una soppressione  o  di  un  accorpamento
degli "enti, agenzie e organismi comunque  denominati",  limita[vano]
il contenuto inderogabile della  disposizione  al  risultato  di  una
riduzione del 20 per cento dei costi  del  funzionamento  degli  enti
strumentali degli enti  locali.  In  sostanza,  l'accorpamento  o  la
soppressione di taluni di questi enti [poteva] essere  lo  strumento,
ma non il solo per ottenere l'obiettivo di una riduzione del  20  per
cento dei costi» (1) (v. punti 3.3 e 7.1 del Considerato in diritto). 
    Il contenuto inderogabile  della  norma  qui  censurata,  invece,
prescrive la creazione di  un  unico  ente,  senza  nemmeno  indicare
specifici obiettivi di contenimento dei costi  di  funzionamento,  ma
facendo   esclusivo   riferimento   ad    una    alquanto    generica
razionalizzazione dell'organizzazione di  tali  enti.  Si  evidenzia,
inoltre, ad  ulteriore  dimostrazione  della  lesione  dell'autonomia
regionale, che tale disposizione non  ha  carattere  transitorio,  ma
impone una modifica definitiva all'assetto e  all'organizzazione  dei
servizi per il diritto allo  studio,  senza  concedere  alle  Regioni
alcuna possibilita' di autonome modulazioni. 
    Non tenendo conto delle peculiarita' territoriali e delle diverse
modalita' di erogazione dei  servizi,  la  disposizione  si  pone  in
contrasto, di conseguenza, anche con i principi di ragionevolezza  di
cui all'art. 3 Cost., e di buon andamento dell'azione  amministrativa
(art. 97 Cost.), la cui lesione ridonda sulle  competenze  regionali,
ex  art.  117,  quarto   comma,   in   materia   di   «organizzazione
amministrativa regionale» e di «diritto allo studio». Le disposizioni
censurate,  infatti,  finalizzate  a   realizzare   un   livellamento
organizzativo, impongono alle Regioni l'obbligo di adeguarsi al nuovo
modello, rinunciando ai precedenti sistemi  anche  quando,  come  nel
caso della Regione Veneto, presentano caratteristiche  di  eccellenza
sotto  il  profilo  organizzativo,  gestorio  e   finanziario.   Cio'
comporta,  di  conseguenza,  un  grave  detrimento  in   termini   di
efficienza amministrativa. 
    Sul punto, del resto, la Regione Veneto aveva  gia'  manifestato,
in sede di Conferenza Stato-Regioni e Province  autonome  (2)   (all.
2), la propria contrarieta' alla creazione  di  un  unico  ente,  che
compromette l'efficacia, l'efficienza e  l'economicita'  dell'attuale
modello  organizzativo  regionale,   basato   sulla   necessita'   di
assicurare,  in  una   realta'   regionale   policentrica   con   una
distribuzione articolata delle sedi universitarie in piu'  capoluoghi
di provincia con organizzazioni universitarie diversificate, mediante
tre Aziende regionali, una distribuzione  capillare  dei  servizi  di
diritto allo studio all'interno del territorio. 
    Le norme impugnate, inoltre, nonostante l'evidente ricaduta sulle
competenze regionali in  materia  di  «organizzazione  amministrativa
regionale» e di «diritto allo  studio»  non  prevedono,  a  ulteriore
differenza della fattispecie decisa da  codesta  ecc.ma  Corte  nella
sentenza n. 236  del  2013,  alcuna  forma  di  coinvolgimento  delle
Regioni, in violazione quindi del principio di  leale  collaborazione
di cui agli articoli 5 e 120 Cost. 
    La  giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma  Corte  e'  costante  nel
ritenere  che  il  principio  di  leale  collaborazione   impone   la
previsione di una intesa sia  nei  casi  della  c.d.  «attrazione  in
sussidiarieta'»  statale  di  funzioni  pertinenti   a   materie   di
competenza regionale o  concorrente  o  di  interventi  normativi  in
settori in cui vi e' una connessione  indissolubile  tra  materie  di
diversa  attribuzione,  senza  la  possibilita'  di  rinvenirne   una
sicuramente prevalente. 
    Infatti, come ribadito nella sentenza  n.  21  del  2016,  «deve,
pertanto, trovare applicazione il principio  generale,  costantemente
ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n.
1 del 2016), per cui, in ambiti caratterizzati da una  pluralita'  di
competenze, qualora non risulti possibile  comporre  il  concorso  di
competenze statali e regionali mediante un  criterio  di  prevalenza,
non e' costituzionalmente illegittimo  l'intervento  del  legislatore
statale,  «purche'  agisca  nel  rispetto  del  principio  di   leale
collaborazione che deve in ogni caso permeare di se' i  rapporti  tra
lo Stato e il sistema delle autonomie (ex plurimis,  sentenze  n.  44
del 2014, n. 237 del 2009, n. 168 e  n.  50  del  2008)  e  che  puo'
ritenersi congruamente attuato mediante  la  previsione  dell'intesa»
(sentenza n. 1 del 2016)». 
    Peraltro, come precisato da codesta ecc. ma Corte nella  sentenza
n. 251 del 2016 «un'analoga esigenza di coinvolgere adeguatamente  le
Regioni  e  gli  enti  locali  nella  forma  dell'intesa   e'   stata
riconosciuta  anche  nella  diversa  ipotesi  della   attrazione   in
sussidiarieta'  della  funzione  legislativa  allo  Stato,  in  vista
dell'urgenza  di   soddisfare   esigenze   unitarie,   economicamente
rilevanti,  oltre   che   connesse   all'esercizio   della   funzione
amministrativa. In tal caso, l'esercizio  unitario  che  consente  di
attrarre,  insieme  alla  funzione   amministrativa,   anche   quella
legislativa, puo' aspirare  a  superare  il  vaglio  di  legittimita'
costituzionale - e giustificare la deroga al  riparto  di  competenze
contenuto nel Titolo V - «solo in  presenza  di  una  disciplina  che
prefiguri un iter in cui assumano  il  dovuto  risalto  le  attivita'
concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che
devono essere condotte in base al principio di lealta'» (sentenza  n.
303 del 2003; di recente, sentenza n. 7 del 2016)». 
    Nella stessa pronuncia si evidenzia,  inoltre,  si  e'  precisato
«La' dove, tuttavia,  il  legislatore  ...  si  accinge  a  riformare
istituti  che   incidono   su   competenze   statali   e   regionali,
inestricabilmente  connesse,  sorge   la   necessita'   del   ricorso
all'intesa». 
    I commi 269, 270 e 272 si  pongono  quindi  in  violazione  degli
articoli  3,  97,  117,  terzo  e  quarto  comma,  118,   119   della
Costituzione e del principio di  leale  collaborazione  di  cui  agli
articoli 5 e 120 della Costituzione. 
5)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma   271,   per
violazione dell'art. 117,  quarto  comma  della  Costituzione  e  del
principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120  della
Costituzione. 
    L'art. 1, comma 271 disciplina la determinazione  dei  fabbisogni
finanziari regionali per l'assegnazione delle risorse  derivanti  dal
fondo integrativo statale per la concessione delle borse  di  studio,
nelle more  dell'emanazione  del  decreto  interministeriale  di  cui
all'art. 7, comma 7, del decreto legislativo n. 68 del 2012, deputato
a  definire  l'importo  della  borsa  di  studio  per  gli   studenti
universitari e i criteri e le modalita'  di  riparto  di  tale  fondo
integrativo. 
    La norma impugnata specifica che le  disposizioni  ivi  contenute
sono volte a consentire che l'assegnazione delle risorse del medesimo
fondo (incrementato di 50 milioni a decorrere dal 2017, ai sensi  del
comma 268) avvenga in misura proporzionale al fabbisogno  finanziario
delle Regioni, a norma dell'art. 18, commi 1, lettera a) e  comma  3,
decreto legislativo n. 68 del 2012. 
    Nello specifico, il comma censurato dispone che, entro  tre  mesi
dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio, il  Ministro
dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, di concerto con il
Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,  determini,  con  proprio
decreto, i fabbisogni finanziari regionali. Il  suddetto  decreto  e'
emanato previo parere della Conferenza permanente per i rapporti  tra
lo Stato, le Regioni e le Province autonome,  che  si  esprime  entro
sessanta giorni dalla  data  di  trasmissione,  decorsi  i  quali  il
decreto puo' essere comunque adottato. 
    In questi termini la norma impugnata  introduce  una  particolare
disciplina relativa  a  un  fondo  statale  vincolato  nella  materia
assegnata alla competenza regionale residuale «diritto allo studio». 
    E' opportuno premettere che tale  materia  non  compare  ne'  tra
quelle di competenza esclusiva statale ne' tra quelle concorrenti,  e
che codesta  ecc.ma  Corte,  pur  non  avendo  avuto  l'occasione  di
esprimersi   direttamente   sul   relativo   inquadramento,   ne   ha
riconosciuto la  pertinenza  alla  competenza  regionale  in  diversi
obiter dicta (sentenze n. 61 del 2011, 299 e n. 134  del  2010).  Del
resto non sussistono oramai dubbi sull'attribuzione della  competenza
in  subiecta  materia  alla  potesta'   regionale   residuale,   come
confermato dallo stesso  legislatore  statale  che,  con  il  decreto
legislativo n. 68 del 2012,  ha  definito  un  sistema  integrato  di
strumenti e servizi in cui lo Stato  ha  competenza  esclusiva  nella
determinazione dei livelli essenziali delle  prestazioni,  mentre  le
Regioni hanno competenza residuale in materia di diritto allo  studio
(v. in particolare art. 3, comma 2, decreto  legislativo  n.  68  del
2012).  Quest'ultime,  d'altronde,  insieme  alle  Universita'  hanno
svolto funzioni attive  in  quest'ambito  quantomeno  a  partire  dal
decreto del Presidente della Repubblica n. 616  del  1977.  Nel  caso
specifico del Veneto, la vigente legge regionale (l.r. n. 8 del 1998)
dispone che gli interventi  finalizzati  all'attuazione  del  diritto
allo studio siano gestiti dalle tre Aziende regionali per il  diritto
allo  studio  universitario,  prevedendo  che   la   gestione   degli
interventi riguardanti  l'erogazione  delle  borse  di  studio  possa
essere  affidata  alle  Universita'  previa   stipula   di   apposita
convenzione con la Regione 
    Nello specifico il fondo vincolato statale a cui si riferisce  la
norma impugnata e' stato istituito dal decreto legislativo n. 68  del
2012 e concorre, assieme  al  gettito  derivante  dall'importo  della
tassa regionale per il diritto allo studio  e  alle  risorse  proprie
delle Regioni, alla copertura del fabbisogno  finanziario  necessario
affinche' quest'ultime possano garantire l'erogazione delle borse  di
studio agli studenti universitari in possesso dei requisiti (art. 18,
comma 1, decreto  legislativo  n.  68  del  2012).  I  criteri  e  le
modalita' di riparto di tale fondo, a norma dell'art.  18,  comma  4,
decreto legislativo n. 68 del 2012, devono  essere  definiti  con  il
decreto di cui all'art. 7, comma 7, dello stesso decreto legislativo,
ovvero con un decreto del Ministro dell'istruzione,  dell'universita'
e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economica  e  delle
finanze, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra  lo
Stato, le Regioni  e  le  Province  autonome,  sentito  il  Consiglio
nazionale  degli  studenti  universitari  (CNSU).  medesimo   decreto
interministeriale dovrebbe definire anche l'importo  della  borsa  di
studio, nonche' i requisiti di eleggibilita' per l'accesso alle borse
di studio; esso,  infine,  dovrebbe  essere  aggiornato  con  cadenza
triennale (art. 7, comma 7, decreto legislativo n. 68 del 2012). 
    Tale decreto interministeriale, tuttavia,  non  risulta  ad  oggi
emanato e l'ultimo riparto delle risorse  del  fondo,  relativo  alle
risorse disponibili nel  2015,  e'  stato  operato  con  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri  24  ottobre  2016  (pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale 1° dicembre 2016 n.  281),  sulla  base  dei
criteri di cui all'art. 16 del decreto del Presidente  del  Consiglio
dei ministri 9 aprile 2001 e dei dati trasmessi dalle Regioni (3) . 
    Il legislatore statale, mediante le disposizioni  qui  censurate,
ha quindi stabilito che il fabbisogno finanziario delle  Regioni  sia
ora   definito   con   decreto    del    Ministro    dell'istruzione,
dell'universita'  e  della  ricerca,  di  concerto  con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze, previa acquisizione di un mero  parere
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e
le Province autonome, da rilasciare entro sessanta giorni al  termine
dei quali il decreto puo' essere comunque emanato. 
    La disposizione contrasta evidentemente con  l'art.  117,  quarto
comma e con  il  principio  di  leale  collaborazione,  di  cui  agli
articoli 5  e  120  della  Costituzione,  per  i  motivi  di  seguito
illustrati. 
    Il comma 271, innanzitutto, introduce una disposizione  di  fatto
elusiva e/o contraddittoria del coerente percorso previsto  dall'art.
7, comma 7, del decreto legislativo n. 68 del  2012,  il  quale,  per
giungere a una definizione del fabbisogno finanziario  delle  Regioni
rispettosa della relativa autonomia,  aveva  previsto  la  necessaria
intesa  in  sede  di  Conferenza  permanente   per   la   definizione
dell'importo della borsa e dei criteri e  modalita'  di  riparto  del
fondo  integrativo  statale.  La  norma  de  qua,   invece,   dispone
l'assunzione di un  semplice  parere,  che  non  puo'  ritenersi  una
sufficiente forma di raccordo con le Regioni. La disciplina  di  tale
fondo vincolato, infatti, riguarda indubbiamente la materia  «diritto
allo studio», spettante alla potesta' residuale delle Regioni. 
    Codesta ecc.ma  Corte,  del  resto,  ha  piu'  volte  «dichiarato
costituzionalmente illegittime norme che disciplinavano i  criteri  e
le modalita' ai fini  del  riparto  o  della  riduzione  di  fondi  e
trasferimenti destinati ad enti territoriali, nella  misura  in  cui,
rinviando a fonti secondarie di attuazione, non prevedevano «a monte»
lo strumento dell'intesa con la Conferenza unificata non solo in caso
di intreccio di  materie,  riconducibili  alla  potesta'  legislativa
statale e regionale (ex plurimis, sentenza n. 168 del 2008), ma anche
in caso di potesta' legislativa  regionale  residuale  (ex  plurimis,
sentenze n.  27  del  2010;  nonche',  in  specifico  riferimento  al
trasporto pubblico locale, n. 222 del 2005), affermando costantemente
la necessita' dell'intesa (tra le tante, sentenze n. 182 e n. 117 del
2013)» (sentenza n. 273 del  2013,  punto  5.2.  del  Considerato  in
diritto). 
    Inoltre, come recentemente statuito nella  sentenza  n.  251  del
2016, «Il parere come strumento  di  coinvolgimento  delle  autonomie
regionali e locali non puo' non misurarsi con  la  giurisprudenza  di
questa Corte che, nel corso degli anni, ha sempre piu' valorizzato la
leale collaborazione quale principio guida nell'evenienza, rivelatasi
molto frequente, di uno stretto intreccio fra materie e competenze  e
ha  ravvisato  nell'intesa  la  soluzione  che  meglio   incarna   la
collaborazione (di  recente,  sentenze  n.  21  e  n.  1  del  2016)»
(sentenza n. 251 del 2016, punto 3 del Considerato in diritto). 
    Peraltro, anche in caso di  attrazione  in  sussidiarieta'  della
funzione legislativa allo Stato, e' emersa l'esigenza di  coinvolgere
adeguatamente le Regioni nella forma dell'intesa (idem). 
    Di conseguenza, con riferimento  al  caso  di  specie,  la  norma
impugnata si pone in contrasto con la competenza regionale  residuale
in materia di «diritto allo studio» ai sensi  dell'art.  117,  quarto
comma, Cost. e con il principio di leale collaborazione di  cui  agli
articoli 5 e 120 Cost., nella parte in cui  prevede  che  le  Regioni
rendano un semplice parere anziche'  prevedere  una  apposita  intesa
riguardo al decreto del Ministro dell'istruzione, dell'universita'  e
della ricerca, che, di concerto con il Ministro dell'economia e delle
finanze, determina i fabbisogni finanziari regionali. 
6)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma   275,   per
violazione dell'art. 117, quarto comma, e 119  della  Costituzione  e
del principio di leale collaborazione di cui agli articoli  5  e  120
della Costituzione. 
    L'art. 1, comma 275, disciplina la procedura  per  l'assegnazione
delle borse di studio per il merito e la  mobilita',  stabilendo  che
entro il 30 aprile di ogni  anno,  la  «Fondazione  Art.  34»  (4)  ,
sentita la Conferenza Stato-Regioni, bandisce  almeno  400  borse  di
studio nazionali, ciascuna del valore di 15.000 euro annui, destinate
a studenti  capaci,  meritevoli  e  privi  di  mezzi,  finalizzate  a
favorirne l'immatricolazione e frequenza a  corsi  di  laurea,  o  di
laurea magistrale a ciclo unico nelle universita' statali, o a  corsi
di diploma accademico di  primo  livello  nelle  istituzioni  statali
dell'alta formazione artistica, musicale e  coreutica  (AFAM),  anche
aventi sede diversa da quella della residenza anagrafica  del  nucleo
familiare dello studente. 
    Tale disposizione introduce quindi forme di sostegno  al  diritto
allo studio affidando l'erogazione di borse di studio nazionali  alla
«Fondazione Articolo 34», gia' «Fondazione per il merito»,  istituita
dall'art. 9, comma 3, decreto-legge n. 70 del  2011  (ma  sinora  mai
entrata in funzione). Obiettivo  della  Fondazione,  ai  sensi  della
disposizione da ultimo citata, e' quello di realizzare gli  obiettivi
di interesse pubblico del Fondo per il merito, a sua volta  istituito
dall'art. 4 della legge n. 240 del 2010. 
    Trattandosi  di  un  intervento  rientrante  nella   materia   di
competenza residuale regionale concernente il «diritto  allo  studio»
(cfr. le gia' citate sentenze di codesta ecc.ma Corte  costituzionale
nn. 61 del 2011, 299 e 134 del 2010), la  disciplina  delle  relative
modalita' di  erogazione  deve  necessariamente  prevedere  una  sede
adeguata di coinvolgimento delle Regioni,  segnatamente  nella  forma
dell'intesa. 
    Come recentemente  statuito  nella  sentenza  n.  251  del  2016,
infatti: «Il parere come strumento di coinvolgimento delle  autonomie
regionali e locali non puo' non misurarsi con  la  giurisprudenza  di
questa Corte che, nel corso degli anni, ha sempre piu' valorizzato la
leale collaborazione quale principio guida nell'evenienza, rivelatasi
molto frequente, di uno stretto intreccio fra materie e competenze  e
ha  ravvisato  nell'intesa  la  soluzione  che  meglio   incarna   la
collaborazione (di  recente,  sentenze  n.  21  e  n.  1  del  2016)»
(sentenza n. 251 del 2016, punto 3 del Considerato in diritto). 
    E' opportuno precisare,  peraltro,  che  in  altre  occasioni  il
legislatore  statale  ha   correttamente   previsto   la   necessita'
dell'intesa in caso di nonne aventi ad oggetto il sostegno al diritto
allo studio. Infatti, l'art. 59, comma 11, del  decreto-legge  n.  69
del 2013, ad esempio, aveva disposto quanto segue: «Con  decreto  del
Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca,  d'intesa
con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni
e le province autonome di Trento e di Bolzano, e' adottato  un  Piano
nazionale per il merito e la mobilita'  degli  studenti  universitari
capaci, meritevoli e privi di mezzi, che definisce la tipologia degli
interventi e i criteri di individuazione dei beneficiari». 
    La lesione delle attribuzioni  regionali  da  parte  della  norma
censurata e', peraltro,  aggravata  dalle  previsioni  contenute  nel
comma 283, ai sensi del quale gli studenti percettori di  tale  borsa
nazionale sono esonerati dal pagamento della tassa regionale  per  il
diritto allo studio. Il gettito derivante dalla riscossione  di  tale
tassa, come noto,  e'  infatti  interamente  devoluto  all'erogazione
delle borse di studio regionali (art. 3, comma 23, legge n.  549  del
1995). 
    La  previsione  di  qualsiasi  forma  di  esonero  incide  quindi
inevitabilmente sulla  copertura  del  fabbisogno  finanziario  delle
Regioni necessario per garantire  l'erogazione  delle  borse  stesse,
comportando di conseguenza un aggravio sul bilancio regionale. 
    A maggior ragione, pertanto, la disposizione contenuta nel  comma
275 deve necessariamente prevedere il  coinvolgimento  delle  Regioni
nella forma dell'intesa in sede di Conferenza permanente. 
    La norma impugnata, quindi, escludendo l'intesa e prevedendo  che
sia solamente sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra  lo
Stato, le regioni e le Province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,
viola in questo modo gli articoli 117, quarto comma, 119 Cost.  e  il
principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120  della
Costituzione. 
7)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma   390,   per
violazione degli articoli 3, 97, 117, terzo comma,  118,  119  e  120
della Costituzione. 
    L'art. 1, comma 390 modifica la  nozione  di  disavanzo  ai  fini
dell'individuazione dei casi in cui sussista l'obbligo di adozione ed
attuazione di un piano  di  rientro  per  le  aziende  ospedaliere  o
ospedaliero-universitarie,  gli  istituti  di  ricovero  e   cura   a
carattere scientifico pubblici e gli altri enti pubblici che eroghino
prestazioni di ricovero e cura. 
    L'art. 1, comma 524, lettera a), legge n. 208/2015,  prima  della
novella operata dal comma che qui si impugna, faceva riferimento alla
sussistenza di un disavanzo tra i costi ed i ricavi pari o  superiore
al 10 per cento dei medesimi ricavi o pari, in  valore  assoluto,  ad
almeno 10 milioni di euro. 
    Il comma che qui si censura sostituisce il parametro del  10  per
cento con quello del 7 per cento e  riduce  da  10  a  7  milioni  il
parametro in valori assoluti, introducendo quindi un criterio  ancora
piu' stringente di selezione degli enti  chiamati  a  predisporre  il
predetto piano di efficientamento. 
    Si precisa che la Regione Veneto ha gia' impugnato avanti codesta
ecc.ma Corte, con ricorso  iscritto  al  reg.  ric.  n.  19/2016,  la
disciplina di cui all'art. 1, commi 524, 525,  526,  527,  528,  529,
531, 532, 533, 534, 535 e 536, della legge n. 208/2015. 
    Tale complesso normativo, in cui si  inserisce  la  modifica  qui
impugnata, mentre non presenta profili di  criticita'  costituzionale
in relazione  alle  Regioni  assoggettate  a  piano  di  rientro,  si
dimostra infatti chiaramente lesivo  dell'autonomia  regionale  nella
misura in cui pretende di applicarsi  anche  alle  Regioni,  come  il
Veneto, in equilibrio finanziario. 
    Il presupposto della applicazione dei piani di rientro,  infatti,
e' sempre stato - a partire dall'art. 1, comma 180,  della  legge  n.
311/2004 e nelle successive evoluzioni: legge n.  266/2005  (art.  1,
commi 278 e 281), legge n. 296/06 (art. 1,  comma  796,  lettera  b),
decreto-legge n. 159/2007 (art. 4), legge n. 191/2009 (art. 2,  commi
80 e 95) - una situazione di  grave  disavanzo  dell'intero  comparto
della spesa sanitaria di una determinata Regione, che, comportando il
rischio del mancato rispetto dei vincoli  di  stabilita'  interni  ed
esterni, impone la necessita' di un accordo con lo Stato al  fine  di
vincolare la Regione interessata sia al rientro dalla  situazione  di
disavanzo, sia alla garanzia dei livelli essenziali di assistenza. 
    E' solo in presenza del presupposto di una  grave  situazione  di
disavanzo  nella  complessiva  spesa  sanitaria  di  una  determinata
Regione che la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte ha  legittimato
l'inevitabile compressione dell'autonomia regionale che deriva  dalla
imposizione di un  piano  di  rientro,  le  cui  disposizioni  spesso
risultano molto piu' dettagliate di quanto  dovrebbe  essere  proprio
delle norme di principio. E'  solo  quindi  per  il  rischio  che  il
disavanzo si ripercuota sull'intero sistema finanziario nazionale che
il vincolo solidaristico, che lega tutti gli enti che compongono  uno
Stato unitario, impone a ciascuno di essi  di  accettare  limitazioni
della  propria  sfera  di  competenza   per   non   pregiudicare   il
raggiungimento degli obiettivi  comuni  e  il  rispetto  dei  vincoli
finanziari imposti a livello sia nazionale che europeo. 
    In assenza di una situazione di  grave  disavanzo  finanziario  o
addirittura in presenza  di  una  situazione  di  certificato  (dallo
stesso Stato) equilibrio finanziario (come  nel  caso  della  Regione
Veneto: si veda l'all. 3, pag. 20) e  addirittura  nel  caso  di  una
Regione, come il Veneto, scelta dallo stesso Ministero  della  salute
come una delle cinque Regioni benchmarck  al  fine  dell'applicazione
dei costi standard nella sanita', ai sensi dell'art. 27  del  decreto
legislativo n. 68/2011 (5) , mancano, invece, del tutto i presupposti
(con violazione anche dell'art. 120 Cost.)  per  cui  il  legislatore
statale e' autorizzato ad intromettersi nella  gestione  della  spesa
sanitaria regionale fino ad imporre l'adozione di piani  di  rientro,
specificando, come fa la norma qui impugnata, in  modo  arbitrario  i
livelli di scostamento tra costi  e  ricavi  e  gli  altri  parametri
rivolti a vincolare singoli enti del Servizio sanitario regionale. 
    In questo caso la menomazione della competenza  regionale  altera
gravemente  l'equilibrio  complessivo   assicurato   dalla   Regione,
all'interno della quale possono esistere,  in  presenza  di  adeguate
ragioni, particolari e singole situazioni di Aziende  ospedaliere  in
disavanzo (si  noti  bene)  non  inefficiente,  ma  giustificato,  da
decisioni rimesse alla autonomia politica regionale,  le  quali  sono
anche chiamate a rispondere a specifiche  situazioni  demografiche  o
epidemiologiche locali, come nel caso della citta' di  Venezia,  dove
si riscontra la piu' alta eta' media d'Italia. 
    La norma impugnata, in quanto applicabile anche alle Regioni  non
sottoposte a  piano  di  rientro  e  peraltro  inasprendo  i  criteri
relativi  all'individuazione  di   enti   sanitari   (arbitrariamente
supposti) inefficienti concretezza quindi un inefficace tentativo  di
spending review, privo di fondamento e  disposto  in  violazione  del
principio di proporzionalita'. E cio'  dal  momento  che  difetta  la
stessa legittimita' dello scopo delle  normative  che  pretendono  di
applicarsi anche a Regioni in equilibrio finanziario,  rispetto  alle
quali manca completamente  il  presupposto  che,  invece,  ha  sempre
legittimato l'imposizione di piani di rientro. 
    Difettano poi anche la connessione razionale e la necessita', dal
momento che sconvolgendo la programmazione regionale  in  materia  di
tutela  della  salute  non  e'  detto  che  la  misura  comporti   un
efficientamento qualitativo e  quantitativo  della  spesa  sanitaria;
piuttosto, e' molto probabile, o  addirittura  certo  in  determinati
casi come quello proposto, il contrario. 
    E' quindi del tutto  evidente  la  mancanza,  nella  disposizione
impugnata, degli standard minimi richiesti  dalla  giurisprudenza  di
codesta   ecc.ma   Corte   costituzionale   per    la    legittimita'
costituzionale delle norme statali  di  coordinamento  della  finanza
pubblica. Come infatti  e'  stato  messo  in  rilievo  in  molteplici
occasioni se il legislatore  statale  puo'  «con  una  disciplina  di
principio, legittimamente «imporre agli enti autonomi, per ragioni di
coordinamento   finanziario   connesse   ad   obiettivi    nazionali,
condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle  politiche
di bilancio,  anche  se  questi  si  traducono,  inevitabilmente,  in
limitazioni indirette all'autonomia di spesa  degli  enti»,  tuttavia
«questi vincoli possono considerarsi rispettosi dell'autonomia  delle
Regioni  e  degli  enti  locali   quando   stabiliscono   un   limite
complessivo,  che  lascia  agli  enti  stessi   ampia   liberta'   di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa»»
(sentenze n. 217 del 2012, n. 182 del 2011, nonche' sentenze  n.  297
del 2009, n. 289 del 2008 e n. 169 del 2007) e «siano rispettosi  del
canone   generale    della    ragionevolezza    e    proporzionalita'
dell'intervento   normativo   rispetto   all'obiettivo    prefissato»
(sentenza n. 22 del 2014). 
    Nel caso di specie, invece, viene  meno  il  rispetto  di  quello
«spazio aperto all'esercizio dell'autonomia regionale»  (ex  plurimis
sentenza n. 182 del 2011) che costituisce  la  condizione  necessaria
perche' il coordinamento della finanza pubblica non si traduca in una
menomazione,   irragionevole   e   non   proporzionata    al    fine,
dell'autonomia politica  della  Regione  e  della  sua  capacita'  di
programmazione. 
    Ne  deriva  che  la  norma  impugnata,  introducendo  addirittura
nozioni piu' stringenti di quelle originariamente disposte  dall'art.
1, comma 524, lettera a), della  legge  n.  208/2015,  determina  una
violazione degli  articoli  3  e  97  che  ridonda  sulle  competenze
costituzionalmente garantite alla Regione  in  termini  di  autonomia
amministrativa, legislativa, e programmatoria in  materia  di  tutela
della salute, di cui agli articoli 117, terzo comma, 118 e 119  della
Costituzione, in ogni caso anche direttamente lesi, per quanto  sopra
evidenziato, dalla disposizione impugnata. 
8)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma   392,   per
violazione degli articoli 3, 32, 97, 117,  terzo  comma,  118  e  119
della Costituzione e del principio di  leale  collaborazione  di  cui
agli articoli 5 e 120 della Costituzione, nonche' degli  articoli  5,
lettera g), della legge costituzionale n. 1 del 2012 e 11 della legge
n. 243 del 2013. 
    L'art. 1, comma 392, dispone una  riduzione,  rispetto  a  quanto
stabilito nell'intesa sancita l'11  febbraio  2016  dalla  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  Regioni  e  le  Province
autonome di Trento  e  Bolzano,  del  livello  di  finanziamento  del
fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato. 
    Tale intesa, in attuazione dell'art. 1, comma 680, della legge 28
dicembre 2015, n. 208, aveva stabilito un  livello  di  finanziamento
pari a 113.063 milioni di euro per il 2017 e 114.998 milioni  per  il
2018 (all. 4, pag. 6, sotto la voce anni 2017 e successivi). 
    Tale livello di finanziamento  viene  ora  stabilito  in  113.000
milioni di euro per il 2017 e 114.000 milioni  per  il  2018,  mentre
viene fissato a 115.000 milioni quello per il 2019. 
    Rispetto a quanto stabilito dalla richiamata Intesa viene  quindi
rivisto in diminuzione, nel biennio 2017-2018, di oltre  un  miliardo
di euro il livello di finanziamento  statale,  senza  che  sia  stata
prevista o attuata una nuova Intesa con le Regioni. 
    Si precisa, peraltro,  che  la  regione  Veneto  con  il  ricorso
iscritto al reg. ric.  n.  17  del  2016  pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale del 20 aprile 2016 n. 16 ha impugnato l'art. 1, comma  568,
della legge 28 dicembre 2015, n. 208 che gia' derogava al  Patto  per
la salute 2014- 2017 (6) . 
    Cio' premesso, e' opportuno precisare che il fabbisogno sanitario
nazionale standard era stato sempre  determinato  sulla  base  di  un
sistema di accordi tra  Stato  e  Regioni,  recepiti  annualmente  in
disposizioni di legge. 
    Tale  prassi  era  conforme  al  riparto   costituzionale   delle
competenze  in  materia  di  tutela  della  salute  e   allo   schema
costituzionale  che  ne  governa  il  finanziamento,  posto  che   la
responsabilita' dell'erogazione dei  servizi  sanitari  ricade  sulle
Regioni, costituendo la voce prevalente dei  rispettivi  bilanci  (la
spesa sanitaria impegna, infatti, circa l'80% dei bilanci regionali). 
    Fin dal 3 agosto 2000  -  quindi  prima  ancora  dell'entrata  in
vigore della riforma costituzionale del Titolo V  -  si  era  infatti
consolidata  la  prassi  di  prevedere  «un  accordo  finanziario   e
programmatico tra il Governo e le Regioni, di valenza  triennale,  in
merito alla  spesa  e  alla  programmazione  del  Servizio  sanitario
nazionale, finalizzato  a  migliorare  la  qualita'  dei  servizi,  a
promuovere  l'appropriatezza  delle   prestazione   e   a   garantire
l'unitarieta' del sistema» (cosi' il Ministero competente descrive il
Patto per la Salute (7) ). 
    Tale prassi e' stata completamente disattesa con la  disposizione
impugnata (e prima ancora, per altri aspetti, derogata con  la  legge
di stabilita' 2016), in riferimento alla quale nemmeno e' stato  piu'
sancito, in sostituzione dell'ultimo ormai scaduto, un Patto  per  la
Salute per il triennio 2017-2019: si tratta quindi di una prassi  del
tutto inedita nella storia repubblicana recente. 
    La norma impugnata, quindi, perviene, per la  prima  volta  nella
legislazione italiana dell'ultimo quindicennio,  alla  determinazione
completamente unilaterale da parte statale, senza  nessuna  forma  di
intesa, accordo o patto, del livello di finanziamento del  fabbisogno
sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato. 
    Questo nonostante la  competenza  in  materia  di  «tutela  della
salute» di cui all'art. 117, III comma, Cost, sia di tipo concorrente
e  costituisca  il  principale   settore   dell'azione   legislativa,
amministrativa e anche fiscale delle Regioni. 
    Questo nonostante, inoltre, sia di carattere concorrente anche la
competenza relativa al coordinamento della finanza pubblica: anche ai
sensi  dell'art.  119,  II  comma,  Cost.  lo  Stato,  infatti,  deve
limitarsi alla fissazione dei principi fondamentali. 
    La mancanza di un accordo, o comunque la  violazione  unilaterale
dell'intesa sancita in data 11  febbraio  2016,  si  pone  quindi  in
radicale contrasto con gli articoli 5 e 120 Cost.  e  in  particolare
con  i  criteri  stabiliti,  da  ultimo,  da  codesta  Ecc.ma   Corte
costituzionale nella  sentenza  n.  251  del  2016:  non  si  tratta,
infatti,  di  una  misura  di  contenimento  della  spesa   regionale
generica, cui applicare semplicisticamente i criteri elaborati  dalla
giurisprudenza costituzionale  sulla  prevalenza  della  funzione  di
coordinamento della finanza pubblica, bensi'  della  riduzione  della
spesa relativa a quella particolarissima materia  che  e'  la  tutela
della salute. E' innegabile, in relazione ad essa, che il legislatore
statale  sia  tenuto  al  pieno  rispetto  del  principio  di   leale
collaborazione   e   debba   prevedere   «adeguati    strumenti    di
coinvolgimento  delle  Regioni,  a  difesa  delle  loro  competenze».
Infatti - ha precisato la suddetta pronuncia - se «[e'] pur vero  ...
che  il  principio  di  leale  collaborazione  non   si   impone   al
procedimento  legislativo»  la'  dove,  tuttavia,   il   procedimento
legislativo   «incid[e]   su   competenze   statali   e    regionali,
inestricabilmente  connesse,  sorge   la   necessita'   del   ricorso
all'intesa». 
    Quest'ultima  si  impone,  dunque,  «quale  cardine  della  leale
collaborazione» (cosi' sempre la stessa sentenza  n.  251  del  2016)
anche  e  soprattutto  in  un  ambito  particolarissimo  come  quello
considerato,  pena  il  venir  meno  di  ogni  sostanziale  contenuto
dell'autonomia  regionale,   data   la   rilevanza   quantitativa   e
qualitativa che la materia tutela della  salute  assume  nel  sistema
regionale. 
    Peraltro, data la propria genesi, la norma impugnata difetta  del
tutto   di   un'adeguata   istruttoria   sulla   sostenibilita'   del
definanziamento (in violazione quindi degli articoli 3 e 97 Cost.)  e
sulla  adeguatezza   delle   risorse   stanziate,   essendo   mancato
completamente  un  adeguato  confronto  preventivo  con  le  Regioni,
chiamate  a  garantire  sui  territori,  tramite  i  propri   modelli
organizzativi e la propria programmazione, il diritto alla salute. 
    Si determina pertanto, in assenza della  suddetta  concertazione,
una compromissione di quell'inviolabile diritto alla  salute  di  cui
all'art. 32 Cost. (degradato  quindi  sullo  stesso  piano  di  altri
interessi in violazione di quanto disposto da  codesta  ecc.ma  Corte
con la sentenza n. 275  del  2016:  «[e']  la  garanzia  dei  diritti
incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l'equilibrio di questo
a condizionarne la  doverosa  erogazione»)  che  la  spesa  sanitaria
regionale e' diretta a tutelare. 
    La norma, infatti: i) determina  una  contrazione  delle  risorse
(dal 2012 il finanziamento della sanita' si e' ridotto  di  circa  30
miliardi di euro) a fronte di un aumento delle prestazioni da erogare
(conseguenti alla definizione dei nuovi LEA  );  ii)  riduce  sia  in
termini  assoluti,  sia  rispetto  al  tendenziale  di  crescita  (ad
esempio, il Def 2014 prevedeva 118,680 miliardi per il 2017 e 121,316
per il 2018  (8)  ),  il  previsto  livello  di  finanziamento  della
principale competenza attribuita alle Regioni. 
    E'  evidente,  quindi,  in  questo  caso  che  l'esercizio  della
funzione statale di coordinamento della finanza pubblica e'  avvenuto
anche in violazione  «del  canone  generale  della  ragionevolezza  e
proporzionalita' dell'intervento normativo» (sent. n. 22  del  2014),
perche', d'un tratto (9) , senza adeguata preventiva concertazione  e
senza  che  sia  intervenuto  alcun  processo   di   riorganizzazione
sostanziale  delle  funzioni  assegnate  alle   Regioni,   e'   stato
rideterminato il livello di finanziamento statale. 
    Al  riguardo,  come  affermato  da  codesta  ecc.ma  Corte  nella
sentenza n. 10 del 2016, non resta che ricordare che: «in assenza  di
adeguate fonti di finanziamento a  cui  attingere  per  soddisfare  i
bisogni della collettivita' di riferimento in un  quadro  organico  e
complessivo,  e'  arduo  rispondere  alla  primaria  e   fondamentale
esigenza di preordinare, organizzare e qualificare  la  gestione  dei
servizi a rilevanza sociale da rendere alle popolazioni  interessate.
In  detto  contesto,  la  quantificazione  delle  risorse   in   modo
funzionale sproporzionato alla realizzazione degli obiettivi previsti
dalla legislazione vigente diventa fondamentale canone e  presupposto
del buon andamento dell'amministrazione, cui lo stesso legislatore si
deve attenere puntualmente». 
    Altrimenti l'art. 3 della  Costituzione  risulta  anche  «violato
sotto il principio dell'eguaglianza sostanziale a causa dell'evidente
pregiudizio  al  godimento  dei  diritti   conseguente   al   mancato
finanziamento dei relativi servizi. Tale profilo di garanzia presenta
un carattere fondante nella tavola dei valori costituzionali»  (sent.
n. 10/2016). 
    E' quindi di tutta evidenza come tali violazioni  degli  articoli
3,  97  e  32  Cost.  ridondino   in   una   ingente   compromissione
dell'autonomia  regionale  nell'ambito,  quello  della  tutela  della
salute, che, in termini quantitativi, maggiormente  impegna  l'azione
legislativa e amministrativa regionale. 
    Si  tratta,  peraltro,  i)  di   una   riduzione   di   carattere
sostanzialmente permanente (in contrasto con quanto  stabilito  dalla
giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale  sul  carattere
necessariamente transitorio delle norme che  impongono  obiettivi  di
riequilibrio della finanza pubblica: ex plurimis le  sentenze  n.  65
del 2016, n. 218 e n. 189 del 2015; nello stesso senso,  sentenze  n.
44 del 2014, n. 236 e n. 229 del 2013, n. 217, n. 193 e  n.  148  del
2012, n. 182 del 2011), ii)  attuata,  inoltre,  -  e  cio'  dimostra
ulteriormente  la  violazione  del  principio  di  ragionevolezza   e
proporzionalita' di cui all'art. 3 Cost. - con  un  taglio  meramente
lineare sul comparto regionale  genericamente  considerato  e  quindi
senza alcuna considerazione  ne'  dei  costi  standard  di  cui  agli
articoli da 25 a 32 del decreto legislativo n. 68 del 2011,  ne'  dei
livelli di spesa di Regioni virtuose che hanno gia' raggiunto elevati
livelli di efficienza nella gestione della sanita'. 
    La  norma,  quindi,  e'  anche  destinata  ad  incidere  in  modo
permanente e indiscriminato non solo sulle realta' inefficienti, dove
puo' ritenersi esista ancora una possibilita'  di  razionalizzazione,
ma anche su quelle realta' efficienti, dove minimo e' il  livello  di
spreco  e  quindi  estremamente  complessa  la  possibilita'  di  una
ulteriore razionalizzazione della spesa senza mettere  a  repentaglio
la garanzia del diritto alla salute. 
    Queste, come la Regione Veneto,  risultano  quindi  indebitamente
penalizzate,  dal  momento  che  nessuna  considerazione   e'   stata
effettuata, essendo mancata  la  necessaria  adeguata  concertazione,
della propria capacita', eppure certificata dallo Stato, di mantenere
l'equilibrio finanziario e nel contempo rispettare  l'erogazione  dei
Lea. 
    Per quanto detto, la determinazione unilaterale  da  parte  dello
Stato del livello di finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale
realizza  una  arbitraria   violazione   del   principio   di   leale
collaborazione  di  cui  agli  articoli  5  e  120  Cost.,   e,   per
irragionevolezza e difetto di proporzionalita', degli articoli 3,  32
e 97 Cost., che ridonda in una violazione delle competenze regionali,
anche autonomamente  considerate,  di  cui  agli  articoli  117,  III
(tutela della salute), 118 (riguardo alla programmazione sanitaria) e
119 della  Costituzione  (riguardo  alla  autonomia  impositiva).  E'
infatti di tutta evidenza  come  tali  violazioni  ridondino  in  una
ingente compromissione dell'autonomia regionale nell'ambito che, come
detto,  in  termini  quantitativi,  maggiormente   impegna   l'azione
legislativa, amministrativa e fiscale delle Regioni. 
    A tale  ultimo  riguardo  si  fa  riserva  fornire  dimostrazione
contabile dell'irragionevole e rilevante incidenza della disposizione
in parola. 
    Ma non solo. 
    La  norma,  determinando  uno  scollamento  tra  un  livello   di
finanziamento che viene  pesantemente  ridotto  e  la  necessita'  di
garantire i livelli essenziali, si pone altresi'  in  contrasto,  con
ricaduta sulla autonomia costituzionalmente garantita  alla  Regione,
con quanto stabilisce l'art. 5, comma  1,  lettera  g),  della  legge
costituzionale n. 1 del 2012 e l'art. 11 della legge n. 243 del  2012
sulla necessita'  del  concorso  dello  Stato  al  finanziamento  dei
livelli essenziali delle  prestazioni  inerenti  ai  diritti  sociali
nelle fasi avverse del ciclo economico. 
    Se  infatti  esistono  fasi  avverse  del  ciclo  economico   che
impongono una restrizione del livello del finanziamento del  SSN  cui
concorre  lo  Stato  (si  e'  detto  che  dal  2012  il  livello  del
finanziamento si e'  ridotto  di  circa  30  miliardi  di  euro),  e'
altrettanto  evidente  che  nel  contempo  si  imporrebbe   perlomeno
l'attivazione (che non e' avvenuta)  del  meccanismo  previsto  dalle
suddette disposizioni. 
    Va aggiunto, infine, a ulteriore dimostrazione  della  violazione
del principio di leale collaborazione e del difetto  di  istruttoria,
che nessun coinvolgimento e' avvenuto della (pur istituita: la  prima
convocazione e' avvenuta il 10 ottobre  2013)  Conferenza  permanente
per il coordinamento della finanza pubblica,  il  cui  coinvolgimento
nella definizione della manovre di finanza pubblica e' invece imposto
dall'art. 5, comma 1, della legge  n.  42  del  2009  (che  attua  il
precetto costituzionale di leale collaborazione): «a)  la  Conferenza
concorre alla definizione degli obiettivi  di  finanza  pubblica  per
comparto, anche in relazione ai livelli di  pressione  fiscale  e  di
indebitamento;» e poi ribadito dall'art. 33 del  decreto  legislativo
n.  68  del  2011  che  la  definisce  quale  «organismo  stabile  di
coordinamento della finanza pubblica  fra  comuni,  province,  citta'
metropolitane, regioni e Stato». 
9) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 395  e  396,  per
violazione degli articoli 3, 97, 117, terzo comma, 119  e  120  della
Costituzione. 
    L'articolo 1, con i commi  395  e  396,  introduce  modifiche  ai
criteri per la nomina del commissario ad acta per la predisposizione,
l'adozione o l'attuazione del piano  di  rientro  dal  disavanzo  del
settore sanitario. 
    Nello specifico, il comma 395 esclude, a  decorrere  dall'entrata
in vigore della stessa legge di bilancio 2017,  l'applicazione  della
disciplina di cui all'art. 1, comma 569, della legge n. 190 del  2014
alle Regioni  commissariate  ai  sensi  dell'art.  4,  comma  2,  del
decreto-legge n. 159 del 2007. 
    In linea con tale disposizione, il successivo comma 396 abroga il
comma 570 dell'art. 1  della  legge  n.  190  del  2014,  che  invece
estendeva la disciplina prevista dal comma 569 della  medesima  legge
anche ai commissariamenti disposti ai sensi dell'art. 4, comma 2, del
decreto-legge n. 159 del 2007. 
    In sostanza, a decorrere dalla data di entrata  in  vigore  della
legge di  bilancio  2017,  con  riguardo  al  commissariamento  delle
Regioni per i casi di inadempimento - successivo a diffida  da  parte
del Governo  -  delle  misure  previste  dal  piano  di  rientro  dal
disavanzo del settore sanitario, non trovera'  piu'  applicazione  la
disciplina, di cui all'art. 1, comma 569, della legge  di  stabilita'
2015, che prevedeva appositi requisiti per la nomina a commissario ad
acta per la predisposizione, l'adozione o l'attuazione del  piano  di
rientro dal disavanzo del settore sanitario. 
    Il citato comma 569, infatti, prevedeva, in conformita' a  quanto
stabilito dal p.to 12, lett. a) e p.to 3) del  Patto  per  la  Salute
2014-  2016,  che  tale  nomina  a  commissario  ad  acta  fosse   i)
incompatibile  con  l'affidamento  o  la  prosecuzione  di  qualsiasi
incarico istituzionale presso la Regione soggetta a  commissariamento
(ivi compresa la  carica  di  Presidente  della  Regione)  e  che  il
commissario  dovesse   possedere   ii)   un   curriculum   attestante
«qualificate e comprovate professionalita' ed esperienza di  gestione
sanitaria anche in base ai risultati in precedenza conseguiti»  (art.
1, comma 569, legge di stabilita' 2015). 
    In questo modo  la  norma,  anche  abrogando  tale  requisito  di
professionalita', rimette in vigore la prassi  dei  cd.  «Governatori
Commissari»  che  e'  stata  una   delle   principali   cause   delle
inefficienze,  sia  in  termini  di  disavanzi,  sia  in  termini  di
insufficiente garanzia del  Lea,  nella  gestione  della  sanita'  di
alcune Regioni. 
    Assegnare poteri di commissario della sanita'  al  Presidente  di
una Regione che non adempia i) alla diffida governativa funzionale  a
conseguire gli obiettivi del piano di  rientro  ovvero  ii)  che  non
abbia adottato atti idonei  o  sufficienti  al  raggiungimento  degli
obiettivi   programmati   (tali   sono   i   presupposti    per    il
commissariamento indicati dall'art. 4, comma 2, del decreto-legge  n.
159 del 2007), si pone  in  evidente  contrasto  con  i  principi  di
ragionevolezza, proporzionalita'  e  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione di cui agli  articoli  3  e  97  della  Costituzione,
nonche' in contrasto con un corretto esercizio del potere sostitutivo
del Governo di cui all'art. 120 Cost. 
    E'   opportuno   ricordare,   riguardo   alla   efficacia   delle
disposizioni ora abrogate, che la Corte  dei  conti  ha  recentemente
attestato che «il successo dei Piani di rientro e' evidente dal punto
di vista  economico  finanziario»,  mettendo  in  evidenza  come  «il
complesso delle regioni in Piano ha registrato una drastica riduzione
delle passivita'. Cio' non ha impedito  di  conseguire  significativi
miglioramenti anche nella qualita' dei servizi e nella  garanzia  dei
livelli essenziali  delle  prestazioni»  (Corte  dei  Conti,  sezioni
riunite in sede di controllo, Rapporto 2016 sul  coordinamento  della
finanza pubblica, marzo 2016, p. 255). 
    Le norme impugnate, inoltre, si pongono in contrasto anche con il
principio di  eguaglianza,  dal  momento  che,  al  contrario,  nelle
situazioni efficienti, dove e' garantito sia l'equilibrio finanziario
sia la garanzia dei Lea,  altre  disposizioni  statali  tendono  alla
espropriazione dei poteri regionali, come nel caso: i)  dell'art.  1,
comma 390 della  legge  n.  232  del  2016  qui  impugnato;  ii)  del
complesso normativa di cui ai commi 524, 525,  526,  527,  528,  529,
531, 532, 533, 534, 535 e 536, della legge n.  208/2015;  iii)  degli
articoli 1, 2, 6 e 9 del decreto legislativo 4 agosto 2016,  n.  171,
recante «Attuazione della delega di cui all'art. 11, comma 1, lettera
p), della legge 7 agosto  2015,  n.  124,  in  materia  di  dirigenza
sanitaria». 
    Situazioni   tra   loro   profondamente   diverse   sono   quindi
irragionevolmente trattate in modo uguale, alimentando un processo di
centralizzazione delle funzioni nelle realta' regionali efficienti  e
al contrario, irragionevolmente, riducendo il  controllo  statale  in
quelle inefficienti. 
    La lesione delle richiamate disposizioni  costituzionali  ridonda
sulla autonomia regionale ai sensi degli articoli 117, terzo comma  e
119 Cost. 
    Infatti, a motivo dell'inefficienza di alcune Regioni (pero'  non
debitamente  assoggettate  al  controllo  sostitutivo  statale),   il
legislatore statale ricorre a misure generalizzate, quali  quelle  in
precedenza  ricordate,  che  risultano   restrittive   dell'autonomia
legislativa e organizzativa regionale. 
    Inoltre, la Regione Veneto, partecipa al livello di finanziamento
del fabbisogno sanitario nazionale standard cui  concorre  lo  Stato;
pertanto l'inefficienza di alcune Regioni conseguente  alla  mancanza
di  un  adeguato  esercizio  del  potere   sostitutivo   statale   ha
inevitabilmente una ricaduta sulla quota di risorse  disponibili  per
la Regione stessa. 
10)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  527,   per
violazione degli articoli 3, 117, secondo,  terzo  comma,  119  della
Costituzione e del principio di  leale  collaborazione  di  cui  agli
articoli 5 e 120 della Costituzione. 
    L'art. 1, comma 527, protrae al  2020  il  periodo  temporale  di
vigenza dell'obbligo per le Regioni di assicurare il contributo  alla
finanza pubblica di cui all'art. 46 del decreto-legge n. 66/2014. 
    In particolare, in forza della suddetta modifica le Regioni  sono
tenute ad assicurare, per ciascuno degli anni dal 2015  al  2020,  un
contributo alla finanza pubblica pari a 750 milioni di euro annui (ai
sensi dell'art. 46, comma 6, primo periodo, decreto-legge n. 66/2014,
cosi' come modificato dal  comma  527  dell'art.  1  della  legge  n.
232/2016 qui impugnato) (10) . 
    Sempre per  gli  anni  2015-2020,  e'  richiesto,  inoltre,  alle
Regioni un contributo aggiuntivo pari a 3.452 milioni di  euro  annui
(ai sensi dell'art. 46, comma  6,  terzo  periodo,  decreto-legge  n.
66/2014, cosi' come modificato dal comma 527 dell'art. 1 della  legge
n. 232/2016, qui impugnato)» (11) 
     E' opportuno precisare che il successivo comma  528  proroga  al
2020 anche il contributo richiesto alle Regioni  dall'art.  1,  comma
680, legge n. 208/2015, sicche' la misura dei contributi alla finanza
pubblica richiesti alle Regioni ed alle Province autonome e prorogati
al 2020 dai commi 527 e 528 in esame, ammonta pertanto a  complessivi
7.682 milioni di euro, come risulta  anche  dalla  relazione  tecnica
(12) . 
    Al riguardo si deduce quanto segue. 
    1. E' preliminare, innanzitutto, ribadire che il contributo delle
Regioni a statuto ordinario gia' previsto dall'art. 46, comma 6,  del
decreto-legge n. 66/2014 - stabilito inizialmente in 750  milioni  di
euro per ciascuno degli anni dal 2015 al  2017  -  era  stato  esteso
anche al 2018 ed incrementato di 3.452 milioni di euro dalla legge di
stabilita' per il 2015 (cfr.  art.  1,  comma  398,  della  legge  n.
190/2014). 
    Il comma 681 della legge di stabilita'  per  il  2016  aveva  poi
esteso anche al 2019 tali contributi. 
    Occorre  precisare  che  la  Regione  Veneto  ha   impugnato   le
disposizioni di cui  all'art.  46,  comma  6,  del  decreto-legge  n.
66/2014 e all'art. 1, comma 398, della legge n. 190/2014. 
    Con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 17  del  2016  pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale del 20 aprile 2016 n. 16  ha  poi  impugnato
l'art. 1, commi 680, 681 e 682, della legge 28 dicembre 2015, n.  208
(13) . 
    Su tale ultimo ricorso codesta ecc.ma  Corte  non  si  e'  ancora
pronunciata, mentre ha deciso i precedenti ricorsi  con  le  pronunce
nn. 65 e 141 del 2016, respingendo le censure della Regione. 
    E' proprio da queste  due  pronunce,  tuttavia,  che,  di  fronte
all'ennesima proroga della manovra di taglio alla spesa regionale del
2014, che emerge la evidente violazione  degli  articoli  117,  terzo
comma e 119 Cost. da parte dell'art. 1, comma 527, qui impugnato. 
    2. Nella sentenza n. 141 del 2016, infatti, in  riferimento  alla
semplice proroga del  termine  di  cui  all'art.  46,  comma  6,  del
decreto-legge n. 66/2014 di un solo anno (ovvero  al  2018)  disposta
dal «comma 398 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014»  si  precisa,
con molta chiarezza, che: «la declaratoria di  non  fondatezza  della
questione, nei termini in cui e' stata prospettata, non  impedisce  a
questa Corte di  segnalare  che  il  costante  ricorso  alla  tecnica
normativa  dell'estensione  dell'ambito   temporale   di   precedenti
manovre,  mediante  aggiunta  di  un'ulteriore  annualita'  a  quelle
originariamente previste, finisce  per  porsi  in  contrasto  con  il
canone della transitorieta', se indefinitamente ripetuto. 
    Il ricorso a tale tecnica normativa potrebbe,  infatti,  prestare
al canone della transitorieta' un ossequio solo formale,  in  assenza
di plausibili e riconoscibili ragioni che impediscano in concreto  al
legislatore di ridefinire e rinnovare  complessivamente,  secondo  le
ordinarie scansioni temporali dei cicli di bilancio, il quadro  delle
relazioni finanziarie tra lo Stato, le Regioni  e  gli  enti  locali,
alla luce di mutamenti sopravvenuti nella  situazione  economica  del
Paese.» 
    3. Riguardo all'art. 1, comma 527, e'  evidente  che,  di  fronte
alla terza proroga consecutiva della stessa manovra in origine legata
a un ambito  triennale  e  di  fronte  all'assenza  di  plausibili  e
riconoscibili ragioni che hanno impedito al legislatore di ridefinire
e  rinnovare  complessivamente,  secondo   le   ordinarie   scansioni
temporali dei cicli di bilancio (triennali) il quadro delle relazioni
finanziarie tra lo Stato e le  Regioni,  il  legislatore  statale  ha
sostanzialmente violato il canone della transitorieta' richiesto,  ai
sensi  degli  articoli  117,  terzo  comma   e   119   Cost.,   dalla
giurisprudenza  costituzionale  (ex  multis,  tra  le  piu'  recenti,
sentenze n. 65 del 2016, n. 218 e  n.  189  del  2015;  nello  stesso
senso, sentenze n. 44 del 2014, n. 236 e n. 229 del 2013, n. 217,  n.
193 e n. 148 del 2012, n. 182 del 2011). 
    Gia' nelle sentenze nn. 43 e 64 del  2016  era  stato,  peraltro,
ribadito con  estrema  chiarezza  che:  «Sotto  quest'ultimo  profilo
questa Corte ha gia' posto  in  evidenza  la  natura  necessariamente
pluriennale delle politiche di bilancio,  che  vengono  scandite  per
mezzo della legge di stabilita' lungo un  arco  di  tempo  di  regola
triennale (sentenze n. 178 del 2015 e n. 310 del  2013)  ...  Percio'
questa  Corte   deve   ripristinare   la   legalita'   costituzionale
riconducendo la disposizione impugnata ad un  corrispondente  periodo
transitorio  di  efficacia,  visto  che  esso  e'  connaturato   alle
caratteristiche  dell'intervento  legislativo  in  cui  la  norma  e'
collocata, e si desume percio' direttamente ed inequivocabilmente  da
quest'ultimo» (sent. n. 43 del 2016). 
    Per cui, si e' affermato (sent. n. 64 del 2016): «Le disposizioni
restrittive della  spesa  regionale  devono  dunque  operare  per  un
periodo di tempo definito, in quanto necessarie  a  fronteggiare  una
situazione contingente» e si e'  espressamente  evidenziato  che  «il
decreto-legge n. 66 del 2014 e'  intervenuto  a  correggere  i  conti
pubblici con riferimento  al  triennio  considerato  dalla  legge  27
dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilita'  2014),  che,
salvo espresse disposizioni contrarie, si  riferisce  agli  anni  dal
2014 al 2016». 
    E' quindi evidente come si sia ormai in presenza, a  seguito  del
raddoppio del termine triennale originario previsto dalla manovra del
2014, nonostante la formale fissazione di un termine finale  (ora  il
2020), proprio di  quel  «costante  ricorso  alla  tecnica  normativa
dell'estensione  dell'ambito   temporale   di   precedenti   manovre»
stigmatizzato, ma ignorato dal legislatore statale, dalla sentenza n.
141  del  2016  che  determina  la  violazione   del   principio   di
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. (che  ridonda  in  un  pesante
vulnus per l'autonomia regionale dato l'evidente impatto sulla stessa
della proroga del taglio) e degli articoli 117,  terzo  comma  e  119
Cost. per difetto sostanziale del canone della  transitorieta'  della
misura statale di coordinamento della finanza pubblica. 
    E' quindi del tutto elusiva di questa giurisprudenza  la  tecnica
normativa adottata dal legislatore statale consistente  nel  fissare,
in origine,  un  termine  triennale  ai  tagli,  continuando  poi  ad
estenderlo, di anno in anno,  con  successivi  interventi  normativi:
tale tecnica, infatti, rende tamquan non esset quel limite  temporale
che  costituisce  la  condizione   di   legittimita'   costituzionale
dell'intervento statale di coordinamento della finanza pubblica. 
    I   limpidi   e   ricorrenti   enunciati   della   giurisprudenza
costituzionale sono stati quindi banalmente e  sostanzialmente  elusi
dal legislatore statale semplicemente aggiungendo di volta  in  volta
un'annualita' a manovre originariamente disposte per un arco di tempo
limitato. 
    In tal modo, anziche' con tutta la ponderazione, le motivazioni e
l'assunzione di responsabilita' che sarebbero  state  necessarie  per
introdurre  una  nuova  manovra,  il  legislatore  statale   con   un
intervento normativo di poche parole ha  inciso  «a  ripetizione»  su
quella capacita' di spesa degli  enti  regionali  dove  si  concentra
ormai, dalla riforma costituzionale del 2001, la quota prevalente dei
servizi e dei diritti dello Stato sociale. 
    E' opportuno, peraltro, ricordare da ultimo che codesta  ecc.  ma
Corte costituzionale gia' in altre occasioni  ha  censurato  tecniche
normative dirette ad eludere un necessario carattere (in  quel  caso)
di «provvisorieta'», come ad esempio nella sentenza n. 360  del  1995
relativa  alla  prassi  della  reiterazione   dei   decreti   -legge,
dichiarata,  per  proprio  per  questo   motivo,   costituzionalmente
illegittima. 
    4.  Peraltro,  nel  considerare  l'illegittimita'  della  tecnica
normativa adottata dal legislatore  statale,  occorre  precisare  che
essa e' anche intervenuta in assenza della  definizione  dei  livelli
essenziali delle  prestazioni  dei  diritti  relativi  all'assistenza
sociale (i cd. Liveas), mai  (a  differenza  dei  Lea  relativi  alla
sanita') determinati. 
    A questo riguardo e'  opportuno  precisare  che  nella  ricordata
sentenza  n.  65  del  2016  codesta  ecc.ma  Corte,  pur  rigettando
l'impugnativa della Regione Veneto, aveva precisato  «Nel  dichiarare
non fondata la questione, questa Corte  osserva,  peraltro,  che  non
erra  la  Regione  ricorrente  nel  sottolineare   l'utilita'   della
determinazione, da parte dello Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo
comma, lettera m), Cost., dei livelli  essenziali  delle  prestazioni
per i servizi concernenti i  diritti  civili  e  sociali  che  devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale (in tal senso, gia'
sentenza n. 273 del 2013). Un tale  intervento,  che  deve  svolgersi
"attraverso moduli di  leale  collaborazione  tra  Stato  e  Regione"
(sentenza n. 297 del 2012),  offrirebbe,  infatti,  alle  Regioni  un
significativo  criterio  di  orientamento  nell'individuazione  degli
obiettivi e  degli  ambiti  di  riduzione  delle  risorse  impiegate,
segnando il limite al di sotto del quale la spesa -  sempreche'  resa
efficiente - non sarebbe ulteriormente comprimibile». 
    Ne' in relazione alla proroga disposta con la legge di stabilita'
per il 2015, ne' in quella poi sancita con la legge di  bilancio  per
il 2016, ne' tantomeno con quella  prevista  dalla  norma  impugnata,
tuttavia, il legislatore statale,  nonostante  il  monito  di  questa
ecc.ma Corte, si e' preoccupato, in violazione dell'art. 117, secondo
comma,  lettera  p),  di  stabilire  un  benche'  minimo   intervento
normativo diretto a definire i cd. Liveas. 
    Posto che l'art. 119, quarto comma, Cost. imporrebbe  allo  Stato
di garantire agli enti territoriali «risorse sufficienti a finanziare
integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite» (che si  situano
in  gran  parte  nell'ambito  dei  diritti   sociali),   la   mancata
definizione  dei  Liveas,  che  interessano  tutta  la   materia   di
competenza residuale regionale dell'assistenza sociale, ha consentito
allo Stato di sottrarsi «tranquillamente» a  questa  responsabilita',
risultando poi libero di praticare tagli lineari «al buio»,  con  una
tecnica di proroga a  ripetizione,  a  prescindere  da  un  qualsiasi
parametro di adeguatezza. 
    Senza assumersi la responsabilita' politica e  costituzionale  di
una riduzione dei livelli essenziali a seguito del venir  meno  delle
risorse disponibili, lo Stato ha infatti scelto invece la  strada  di
non definirli in materie come  l'assistenza  sociale  (i  Liveas),  e
dall'altro di perpetrare un sistema di tagli lineari, in cio' venendo
meno ad un corretto esercizio di  quella  funzione  di  coordinamento
della finanza pubblica che e' invece richiesto  dagli  articoli  117,
terzo comma e 119 Cost. 
    Ne  consegue  che   l'esercizio   della   funzione   statale   di
coordinamento della finanza pubblica  e'  avvenuto  quindi  anche  in
violazione   «del   canone   generale    della    ragionevolezza    e
proporzionalita' dell'intervento normativo» (sentenze nn. 22 del 2014
e 236 del 2013). 
    Appare utile,  peraltro,  ricordare  che  codesta  ecc.ma  Corte,
sempre nella sentenza n. 65 del 2016, ha limpidamente precisato  «che
interventi statali, i quali modifichino  repentinamente  l'equilibrio
del rapporto tra autocoordinamento regionale e supplenza statale  nel
delicato settore dei  contributi  regionali  alla  finanza  pubblica,
restano ovviamente soggetti allo stretto scrutinio di  questa  Corte,
se e in quanto investita del relativo giudizio». 
    5. Nel caso di specie, quindi, le disposizioni di cui all'art. 1,
comma 527 si concretizzano: i) in misure che  di  fatto  assumono  un
carattere sostanzialmente permanente; ii) in  un  catalogo  di  tagli
meramente lineari che  riguardano  l'intero  comparto  delle  Regioni
ordinarie  senza  che  sia  definito  alcun  criterio  effettivo   di
sostanziale riforma. 
    Esse inoltre  determinano  l'impossibilita'  per  la  Regione  di
offrire un adeguato livello di servizio  rispetto  ai  bisogni  della
popolazione. 
    Come ha precisato a piu' riprese la Corte dei conti  «le  manovre
di finanza pubblica degli ultimi anni testimoniano  di  provvedimenti
che,  all'ombra  del  federalismo,  rappresentano  vere   e   proprie
"incursioni" della politica fiscale nazionale, dettate, piu'  che  da
logiche di coordinamento fra livelli di Governo,  dal  coinvolgimento
delle Autonomie locali  nello  sforzo  di  consolidamento  dei  conti
pubblici.» (14) 
    Stante quanto  esposto,  risulta  evidente  che  le  disposizioni
impugnate travalicano quindi la funzione  del  «coordinamento»  della
finanza pubblica e  si  concretizzano  in  misure  di  indiscriminato
«contenimento», cosi' risultando  pero'  prive  degli  indispensabili
elementi   di    razionalita',    proporzionalita',    efficacia    e
sostenibilita' che dovrebbero quantomeno  informare  la  funzione  di
coordinamento della finanza pubblica. 
    Come affermato da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 188  del
2015 in  relazione  al  sotto  finanziamento  regionale  di  funzioni
provinciali (ed e' logico ritenere che i tagli disposti in  tal  modo
alle Regioni compromettano la loro capacita'  di  garantire  adeguati
trasferimenti  agli  altri  enti   locali):   «le   possibilita'   di
ridimensionamento incontrano tuttavia  dei  limiti...  Una  dotazione
finanziaria cosi' radicalmente ridotta, non accompagnata da  proposte
di riorganizzazione dei servizi o da  eventuale  riallocazione  delle
funzioni a suo tempo trasferite,  comporta  dunque  una  lesione  del
principio in considerazione» (cfr., inoltre, sent. n. 10/2016). 
    6. Va aggiunto, infine, quale motivo di violazione del  principio
di leale collaborazione di cui agli  articoli  5  e  120  Cost.,  che
nessun  coinvolgimento  e'  avvenuto,  ne'  e'  previsto  della  (pur
istituita: la prima e unica convocazione e' avvenuta  il  10  ottobre
2013)  Conferenza  permanente  per  il  coordinamento  della  finanza
pubblica, il cui coinvolgimento nella definizione  della  manovre  di
finanza pubblica e' imposto dall'art. 5, comma 1, della legge  n.  42
del  2009  (in  attuazione  del  principio  costituzionale  di  leale
collaborazione): «a) la Conferenza concorre  alla  definizione  degli
obiettivi di finanza pubblica per comparto,  anche  in  relazione  ai
livelli di pressione fiscale e  di  indebitamento;»  e  poi  ribadito
dall'art. 33 del decreto legislativo n. 68 del 2011 che la  definisce
quale «organismo stabile di coordinamento della finanza pubblica  fra
comuni, province, citta' metropolitane, regioni e Stato». 
11)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  528,   per
violazione dell'art. 119 della Costituzione. 
    L'art. 1, comma 528, modifica  l'art.  1,  comma  680,  legge  n.
208/2015 che detta la disciplina riguardante un ulteriore  contributo
che le Regioni e le Province autonome sono tenute ad assicurare  alla
finanza pubblica. Segnatamente: 
    i) estende al 2020 l'obbligo di  assicurare  il  contributo  alla
finanza pubblica stabilito all'art. 1, comma 680, della legge n.  208
del 2015, e ivi quantificato in 5.480 milioni di euro. 
    ii) sempre modificando il comma 680 dell'art. 1  della  legge  di
stabilita' 2016, introduce la possibilita' di prevedere versamenti al
bilancio dello Stato da parte delle Regioni interessate, in  sede  di
rideterminazione dei livelli di finanziamento e  delle  modalita'  di
acquisizione delle risorse da parte dello Stato,  qualora  non  fosse
raggiunta l'intesa in seno alla Conferenza permanente sul riparto dei
tagli e sugli ambiti di spesa coinvolti. 
    In questo caso, a differenza di quanto dedotto  in  relazione  al
comma 527, l'estensione al 2020  del  periodo  temporale  in  cui  le
Regioni sono tenute ad assicurare il  loro  contributo  alla  finanza
pubblica stabilito all'art. 1, comma 680,  della  legge  n.  208  del
2015, avviene per la prima volta. 
    Da  questo  punto  di  vista,  quindi,  la   fattispecie   sembra
ricalcare, appunto a differenza della proroga  disposta  dall'art.  1
comma 527, la fattispecie decisa  da  codesta  ecc.ma  Corte  con  la
sentenza n. 141 del 2016 nel senso della non fondatezza. 
    Tuttavia, la disposizione impugnata non si limita ad una semplice
proroga,  ma  specifica  che  la  rideterminazione  dei  livelli   di
finanziamento  degli  ambiti  individuati  e   delle   modalita'   di
acquisizione delle  risorse  da  parte  dello  Stato  effettuata  con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, in caso di mancata
intesa, possa prevedere  anche  versamenti  da  parte  delle  Regioni
interessate al bilancio dello Stato. 
    In tal modo, la norma aggiunge un elemento innovativo che non  e'
stato considerato nella sentenza n. 141 del 2016, dove  lo  scrutinio
di costituzionalita'  riguardava  disposizioni  che  «impongono  alle
Regioni  semplicemente  una  riduzione  di  spesa»:  con  la  novella
introdotta dal comma 528 i criteri sussidiari applicabili dallo Stato
in caso di mancata intesa non impongono piu' una semplice limitazione
della spesa regionale, attraverso la «rideterminazione dei livelli di
finanziamento», ma trasformano la Regione in una  sorta  di  esattore
dello Stato, essendo  la  stessa  chiamata  a  riversare  allo  Stato
risorse proprie. 
    In questo caso, a differenza della  fattispecie  esaminata  nella
richiamata pronuncia, il disposto obbligo di  riversare  al  bilancio
dello Stato la spesa non effettuata si pone in contrasto  con  l'art.
119 Cost. in base al principio  affermato  da  codesta  ecc.ma  Corte
costituzionale   nella   sentenza    n.    79/2014    in    relazione
all'illegittimita' di un «obbligo di  restituzione  di  risorse  gia'
acquisite, che vengono  assicurate  all'entrata  del  bilancio  dello
Stato, senza alcuna indicazione circa la loro destinazione». 
12)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  615,   per
violazione dell'art. 117,  quarto  comma  della  Costituzione  e  del
principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120  della
Costituzione. 
    L'art. l, commi da 613 a  615,  istituisce  un  Piano  strategico
nazionale  della  mobilita'  sostenibile,  incrementando  le  risorse
attribuite al Fondo di cui all'art. 1,  comma  866,  della  legge  28
dicembre 2015, n. 208 finalizzato all'acquisto, alla riqualificazione
elettrica o al noleggio  dei  mezzi  adibiti  al  trasporto  pubblico
locale e regionale ed estendendo le finalita' del Fondo stesso. 
    Nello specifico, ai sensi del comma 613, il Piano e' destinato al
rinnovo del parco autobus dei servizi di trasporto pubblico locale  e
regionale,  alla  promozione  e  al  miglioramento   della   qualita'
dell'aria con tecnologie  innovative,  in  attuazione  degli  accordi
internazionali  nonche'  degli   orientamenti   e   della   normativa
dell'Unione europea. Nell'ambito del  Piano  si  prevede  inoltre  un
programma di interventi finalizzati ad  aumentare  la  competitivita'
delle imprese produttrici di beni e servizi nella filiera  dei  mezzi
di trasporto pubblico su gomma e  dei  sistemi  intelligenti  per  il
trasporto,  «attraverso  il  sostegno  agli  investimenti  produttivi
finalizzati alla transizione verso forme produttive  piu'  moderne  e
sostenibili, con particolare riferimento alla ricerca e allo sviluppo
di  modalita'  di  alimentazione  alternativa,  per   il   quale   e'
autorizzata la spesa di 2 milioni di euro per l'anno  2017  e  di  50
milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019». 
    Ai sensi del successivo comma 614,  a  valere  sulle  risorse  da
ultimo indicate nel comma 613, il Ministero dello sviluppo economico,
d'intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti,  puo'
immediatamente stipulare  convenzioni  con  l'Agenzia  nazionale  per
l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo  d'impresa-Invitalia  e
con   dipartimenti   universitari   specializzati   nella   mobilita'
sostenibile, al fine di predisporre analisi  e  studi  riguardanti  i
costi e i benefici degli interventi, nonche'  i  relativi  fabbisogni
territoriali. 
    A norma del comma 615, infine, il Piano e' approvato entro il  30
giugno 2017 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su
proposta  del  Ministro  delle  infrastrutture  e  dei  trasporti  di
concerto con  il  Ministro  dello  sviluppo  economico,  il  Ministro
dell'economia e delle finanze e il  Ministro  dell'ambiente  e  della
tutela del territorio e del mare. 
    Infine, con decreto del Ministro  dello  sviluppo  economico,  di
concerto con il Ministro dell'economia  e  delle  finanze  e  con  il
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti (da adottare  entro  il
31 dicembre 2017),  sono  disciplinati,  in  coerenza  con  il  Piano
strategico nazionale, gli interventi (di cui  al  comma  613,  ultimo
periodo) per la competitivita' delle imprese produttrici  di  beni  e
servizi nella filiera dei mezzi di trasporto pubblico su gomma e  dei
sistemi intelligenti per il trasporto. 
    Nessuna forma di concertazione con le Regioni, invece,  e'  stata
prevista. 
    In questi termini, pertanto, il comma 615  e'  costituzionalmente
illegittimo, dal momento che,  sebbene  finalizzato  al  rinnovo  del
parco autobus dei servizi di trasporto pubblico locale  e  regionale,
nonche' alla promozione e al miglioramento della  qualita'  dell'aria
con tecnologie innovative, non prevede alcuna forma di  concertazione
delle Regioni ne' in relazione alla approvazione del Piano strategico
nazionale della mobilita' sostenibile, ne' all'emanazione del decreto
del Ministro dello sviluppo economico con cui sono  disciplinati  gli
interventi di cui al comma 613, ultimo periodo. 
    Sebbene la materia «mobilita' sostenibile» sia ascrivibile  anche
alla materia «ambiente», secondo la giurisprudenza di codesta  ecc.ma
Corte  costituzionale  e'  comunque  necessario   un   coinvolgimento
regionale, dal momento che l'intervento  statale  incide  chiaramente
nella materia del trasporto pubblico locale, di competenza  residuale
regionale ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. 
    Nella sentenza n. 142 del 2008, avente ad oggetto la legittimita'
costituzionale dell'art. 1, commi 1121, 1122 e 1123, della  legge  n.
296 del 2006 (legge di stabilita' 2007) che istituiva un Fondo per la
mobilita' sostenibile si e', infatti, affermato: «...poiche' il Fondo
in esame produce  effetti  anche  sull'esercizio  delle  attribuzioni
regionali in materia di trasporto pubblico locale affinche'  esso  si
svolga nei limiti  della  sostenibilita'  ambientale,  si  giustifica
l'applicazione del principio di leale collaborazione (sentenze n.  63
del 2008; n. 201 del 2007; n. 285 del 2005), che deve, in ogni  caso,
permeare di se' i rapporti tra lo Stato e il sistema delle  autonomie
(sentenza n. 50 del 2008), Nel caso in esame, invece, i commi 1122  e
1123 dell'art. 1 non tengono conto di detto parametro, attribuendo al
Ministro dell'ambiente e della tutela  del  territorio  e  del  mare,
senza alcun coinvolgimento regionale,  il  potere  di  stabilire,  di
concerto con il Ministro dei trasporti, la destinazione delle risorse
del Fondo, e di prevedere la  quota,  non  inferiore  al  cinque  per
cento, da destinare  agli  interventi  per  la  valorizzazione  e  lo
sviluppo della mobilita' ciclistica. Le  necessarie  forme  di  leale
collaborazione, avendo  riguardo  agli  interessi  implicati  e  alla
peculiare rilevanza di quelli connessi all'ambito  materiale  rimesso
alla potesta' legislativa esclusiva  dello  Stato,  possono,  d'altro
canto, dirsi adeguatamente attuate mediante  la  previa  acquisizione
del parere della Conferenza unificata, competente in materia  secondo
la legislazione vigente, in sede di adozione del decreto ministeriale
di destinazione delle risorse del  Fondo.  Da  cio'  consegue  che  i
predetti   commi   devono   essere   dichiarati    costituzionalmente
illegittimi  nella  parte  in  cui  non  prevedono  che  il   decreto
ministeriale  sia  emanato  previa  acquisizione  del  parere   della
Conferenza unificata» (sent. n. 142 del 2008, p.to 5 del  Considerato
in diritto). 
    Posto   che   la   giurisprudenza   di   codesta   ecc.ma   Corte
costituzionale ha  ravvisato  una  competenza  legislativa  regionale
residuale a disciplinare i profili del trasporto pubblico locale  che
non siano strumentali a garantire la concorrenza (sentenze n. 325 del
2010, n. 307 del 2009, n. 272 del 2004), e che si e' in presenza  nel
caso di specie «di interessi distinti, che corrispondono alle diverse
competenze legislative dello Stato e delle Regioni»,  che  «risultano
inscindibili  l'una  dall'altra,  inserite  come  sono  in  un  unico
progetto», il legislatore puo' superare «lo scrutinio di legittimita'
costituzionale se rispetta  il  principio  di  leale  collaborazione,
avviando le procedure inerenti all'intesa con Regioni e  enti  locali
nella sede della Conferenza unificata» (sentenza n. 215 del 2016). 
    Il  comma  615,  in  quanto   non   prevede   alcuna   forma   di
coinvolgimento regionale, si pone quindi in violazione degli articoli
117, quarto comma, Cost. e del principio di leale  collaborazione  di
cui agli articoli 5 e 120 Cost. 
13)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  627,   per
violazione degli articoli 117, terzo comma e 119 della  Costituzione,
nonche' degli articoli 5 e 120 della Costituzione per violazione  del
principio di leale collaborazione. 
    L'art. 1, comma 627, istituisce nello  stato  di  previsione  del
Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo il Fondo
nazionale per la rievocazione storica, con una dotazione di 2 milioni
di euro per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019. 
    Tale fondo e' finalizzato alla  promozione  di  eventi,  feste  e
attivita', nonche' alla valorizzazione di beni  culturali  attraverso
la  rievocazione  storica.  Ad  esso  possono  accedere  direttamente
Regioni, Comuni, nonche'  istituzioni  culturali  e  associazioni  di
rievocazione. Per queste ultime (istituzioni culturali e associazioni
di  rievocazione)   e'   richiesto   il   riconoscimento   attraverso
l'iscrizione  in   appositi   albi,   tenuti   dai   Comuni,   ovvero
l'operativita' da almeno dieci anni. 
    L'accesso alle risorse avviene in base a criteri  da  determinare
con decreto del Ministro dei beni e delle attivita' culturali  e  del
turismo, che deve essere emanato entro trenta giorni  dalla  data  di
entrata in vigore della legge. 
    In questi termini  la  norma  impugnata  istituisce  un  fondo  a
destinazione  vincolata  pianamente  riconducibile  all'ambito  delle
materie  «valorizzazione  dei  beni  culturali»   e   «promozione   e
organizzazione di attivita' culturali»  che  sono  incluse  dall'art.
117,  terzo  comma,  Cost.  tra  quelle  di  competenza   legislativa
concorrente. 
    Al  riguardo  occorre  ricordare   che   codesta   ecc.ma   Corte
costituzionale  ha  precisato  che   «e'   necessario   che   restino
inequivocabilmente attribuiti allo Stato, ai fini  della  tutela,  la
disciplina e  l'esercizio  unitario  delle  funzioni  destinate  alla
individuazione dei beni costituenti il patrimonio  culturale  nonche'
alla loro protezione e conservazione; mentre alle  Regioni,  ai  fini
della valorizzazione, spettino  la  disciplina  e  l'esercizio  delle
funzioni dirette alla migliore conoscenza, utilizzazione e  fruizione
di quel patrimonio (sentenza n. 194 del 2013)».  (sent.  n.  140  del
2015). 
    La disposizione impugnata, quindi, se, da un lato, istituisce  un
fondo  statale  a  destinazione  vincolata  in  un  ambito  materiale
riconducibile alla competenza regionale concorrente,  dall'altro  non
prevede  alcuna  forma  di  concertazione  con  le  Regioni  ai  fini
dell'adozione del decreto del Ministro dei  beni  e  delle  attivita'
culturali e del turismo diretto a determinare i  criteri  determinati
di accesso al fondo stesso. 
    In questi termini, nella  misura  in  cui  non  e'  prevista,  al
riguardo, l'intesa con le Regioni, risulta violato l'art.  119  della
Costituzione e il principio  di  leale  collaborazione  di  cui  agli
articoli  5  e  120  della   Costituzione,   dal   momento   che   la
giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale e' costante nel
ritenere che  solo  la  previsione  di  un'intesa  nell'ambito  della
Conferenza unificata varrebbe a rendere costituzionalmente legittimo,
in virtu' del processo di concertazione e condivisione,  un  fondo  a
destinazione vincolata (in tal senso, sentt. nn. 16 del 2010, 79  del
2011, 201 del 2007, 219 del 2005 e 50 del 2005). 
    Infatti, codesta ecc.ma Corte «ha  dichiarato  costituzionalmente
illegittime norme che disciplinavano i criteri e le modalita' ai fini
del riparto o della riduzione di fondi e trasferimenti  destinati  ad
enti territoriali, nella misura in cui, rinviando a fonti  secondarie
di attuazione, non prevedevano "a monte" lo strumento dell'intesa con
la Conferenza unificata non solo in caso  di  intreccio  di  materie,
riconducibili alla  potesta'  legislativa  statale  e  regionale  (ex
plurimis, sentenza n. 168 del 2008), ma anche  in  caso  di  potesta'
legislativa regionale residuale (ex  plurimis,  sentenze  n.  27  del
2010; nonche', in specifico riferimento al trasporto pubblico locale,
n. 222 del 2005), affermando costantemente la necessita'  dell'intesa
(tra le tante, sentenze n. 182 e n. 117 del 2013)» (sent. n. 273  del
2013). 
    L'assenza di una qualsivoglia forma  di  leale  collaborazione  -
peraltro prevista in situazioni analoghe dalla  legislazione  statale
(15)  - rende quindi evidente la violazione degli articoli 117, terzo
comma e 119 Cost. e del principio di leale collaborazione di cui agli
articoli 5 e 120 Cost. 

(1) Sentenza Corte costituzionale n. 236 del  2013,  punto  3.3.  del
    Considerato in diritto; tale punto si riferisce  nello  specifico
    agli enti locali, mentre il successivo punto 7.1. della pronuncia
    tratta delle norme relative agli enti strumentali delle  Regioni,
    ribadendone la natura di principi di coordinamento della  finanza
    pubblica in quanto lasciavano «alle Regioni, nell'esercizio delle
    loro competenze, il piu' ampio spazio di autonomia per  adeguarsi
    ai principi stabiliti dal comma 1 [dell'art. 9, decreto-legge  n.
    95/2012 oggetto di impugnazione]». 

(2) Conferenza Stato-Regioni e Province autonome, Parere sul  disegno
    di legge recante Bilancio di previsione dello  Stato  per  l'anno
    finanziario 2017,17 novembre 2016, p. 41. 

(3) Cosi' si precisa in Servizio studi di Camera e Senato,  legge  di
    Bilancio 2017 Schede di Lettura AS 2611 -  Sezione  I  normativa,
    dicembre 2016, p. 290. 

(4) La «Fondazione Art. 34», gia' Fondazione per  il  merito  di  cui
    all'art.  9,  comma  3,  decreto-legge  n.  70/2011   (legge   n.
    106/2011), assume, con il comma 273 dell'art. 1  della  legge  n.
    232/2016, la nuova denominazione  di  «Fondazione  Art.  34»  con
    riferimento all'art. 34 della Costituzione.  Tale  Fondazione  e'
    istituita per  la  realizzazione  degli  obiettivi  di  interesse
    pubblico del Fondo per il merito di  cui  all'art.  4,  legge  n.
    240/2010 nonche' con lo scopo di promuovere la cultura del merito
    e della qualita' degli apprendimenti nel sistema scolastico e nel
    sistema universitario. Per il raggiungimento dei propri scopi  la
    Fondazione instaura rapporti con omologhi enti  ed  organismi  in
    Italia e all'estero. Puo' altresi' svolgere funzioni connesse con
    l'attuazione  di  programmi  operativi  cofinanziati  dai   Fondi
    strutturali  dell'Unione  europea,  ai  sensi   della   normativa
    comunitaria. 

(5) Emerge, infatti, dalla  nota  metodologica  del  Ministero  della
    salute  del  21  giugno  2013,  applicativa  della  delibera  del
    Consiglio dei ministri 11 dicembre 2012, recante «Definizione dei
    criteri  di  qualita'  dei  servizi  erogati,  appropriatezza  ed
    efficienza per la scelta delle regioni  di  riferimento  ai  fini
    della determinazione dei costi  e  dei  fabbisogni  standard  nel
    settore sanitario», pubblicata nella  Gazzetta  Ufficiale,  Serie
    generale, n. 135 dell'11 giugno 2013, che le  Regioni  benchmarck
    sono state identificate nelle  regioni  Veneto,  Emilia  Romagna,
    Lombardia, Marche e Umbria. 

(6) Tale norma, infatti, ha ridotto, in deroga a quanto stabilito dal
    Patto per la Salute 2014-2016, il fabbisogno sanitario  nazionale
    standard per il 2016  fissandolo  in  111.000  milioni  di  euro,
    quando era invece stato precedentemente stabilito, dalla legge di
    bilancio 2015 (commi 167 e 556, dell'art. 1, legge n. 190/2014) e
    dal  c.d.  decreto-legge  Enti  territoriali   (art.   9-septies,
    decreto-legge n. 78/2015), che il livello  di  finanziamento  del
    Servizio sanitario nazionale (SSN) cui concorre lo Stato  per  il
    2016 fosse fissato in 113.097 milioni di euro.  Nel  ricorso,  la
    norma e' stata impugnata  per  violazione  per  violazione  degli
    articoli 3, 32, 97, 117, terzo e quarto comma, 118  e  119  della
    Costituzione e del principio di leale collaborazione di cui  agli
    articoli 5 e 120 della Costituzione, nonche'  degli  articoli  5,
    lettera g), della legge costituzionale n. 1 del 2012 e  11  della
    legge n. 243 del 2013. 

(7) Cfr.
    http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6jsp?id=1299&area=progra
    mmazioneSanitariaLea &menu=vuoto 

(8) Cfr.    a    pag.    45    del    documento    rinvenibile     in
    http://www.dt.tesoro.it/modules/documenti_it/analisi_programmazio
    ne/documenti_programmatici/DEF_Sezione_II_-_Analisi_e_tendenze_de
    lla_finanza_pubblica.pdf 

(9) Appare utile ricordare che Codesta ecc.ma Corte,  nella  sentenza
    n.  65  del  2016,  ha  limpidamente  precisato  «che  interventi
    statali, i  quali  modifichino  repentinamente  l'equilibrio  del
    rapporto tra autocoordinamento regionale e supplenza statale  nel
    delicato settore dei contributi regionali alla finanza  pubblica,
    restano ovviamente soggetti  allo  stretto  scrutinio  di  questa
    Corte, se e in quanto investita del relativo giudizio». 

(10) Il medesimo art. 46, comma 6, decreto-legge n.  66/2014  demanda
     la definizione degli ambiti di spesa e degli importi di ciascuna
     Regione alle Regioni medesime in sede di auto coordinamento, che
     formulano a tal fine una proposta da recepire con intesa in sede
     di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni
     e le province autonome di Trento e  di  Bolzano.  La  Conferenza
     Stato-Regioni e' chiamata a sancire detta  intesa  entro  il  31
     gennaio di ciascun anno (si veda il combinato disposto dei commi
     680 e 682 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015). Qualora  non
     si pervenga alla predetta intesa  entro  i  termini  prescritti,
     entro i successivi venti giorni, con decreto del Presidente  del
     Consiglio dei ministri, da adottarsi, previa  deliberazione  del
     Consiglio dei ministri, i richiamati importi sono  assegnati  ad
     ambiti di spesa ed attribuiti alle singole Regioni. A  tal  fine
     il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e' chiamato
     a tener anche conto del Pil e della popolazione  residente  e  a
     rideterminare  i   livelli   di   finanziamento   degli   ambiti
     individuati e le modalita'  di  acquisizione  delle  risorse  da
     parte dello Stato. 

(11) Anche in questo caso, per la definizione degli ambiti di spesa e
     degli  importi,  nel  rispetto   dei   livelli   essenziali   di
     assistenza, si rinvia ad una proposta delle Regioni in  sede  di
     auto  coordinamento  da  recepire  con  intesa   sancita   dalla
     Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni  e
     le Province autonome di Trento e di Bolzano, entro il 31 gennaio
     di ciascun anno (si veda il combinato disposto dei commi  680  e
     682 dell'art. 1 della legge n. 208 del 2015).  A  seguito  della
     predetta intesa sono rideterminati i  livelli  di  finanziamento
     degli ambiti individuati e le modalita'  di  acquisizione  delle
     risorse da parte dello Stato. Anche in questo  caso  di  mancato
     raggiungimento  dell'intesa  entro  il  prescritto  termine,  la
     definizione degli ambiti di spesa e degli importi dei contributi
     delle singole regioni e' demandata al decreto del Presidente del
     Consiglio dei ministri. 

(12) Dal  totale  dei  contributi  di  cui  sopra,   la   cui   somma
     ammonterebbe a 9.682 milioni di euro, va  infatti  sottratta  la
     cifra corrispondente al risparmio realizzato in modo  permanente
     con il taglio per 2.000 milioni di euro  del  finanziamento  del
     Servizio sanitario nazionale (stabilito dagli articoli da  9-bis
     a 9-septies del decreto-legge 78/2015, in attuazione dell'Intesa
     in Conferenza Stato-Regioni del 25 febbraio 2015). 

(13) Per violazione degli articoli 3, 32, 97,  117,  terzo  e  quarto
     comma, 118, 119 Cost., del principio di leale collaborazione  di
     cui agli articoli 5 e  120  della  Costituzione,  nonche'  degli
     articoli 5, lettera g), della legge costituzionale n. 1 del 2012
     e 11 della legge n. 243 del 2013. 

(14) Corte dei conti, Rapporto 2016 sul coordinamento  della  finanza
     pubblica, marzo 2016, p. 93. 

(15) Si osservi poi che,  come  viene  peraltro  messo  in  luce  dal
     Dossier Schede di Lettura legge di Bilancio 2017 redatto a  cura
     del Servizio studi di Camera e Senato (Servizio studi di  Camera
     e Senato, legge di Bilancio 2017 Schede di  Lettura  AS  2611  -
     Sezione I normativa, dicembre  2016,  p.  683),  il  legislatore
     statale,  con  legge  n.  239/2005,  ha  correttamente  previsto
     l'intesa con la Conferenza unificata nella procedura di adozione
     dei  decreti  ministeriali  recanti  criteri  e   modalita'   di
     erogazione dei contributi alle attivita'  dello  spettacolo  dal
     vivo (cfr. art. 1, comma 2, legge n. 239/2005). E la  necessita'
     dell'intesa era stata rilevata anche  dalla  Commissione  Affari
     costituzionali del 25 novembre 2016  che,  pur  avendo  espresso
     parere favorevole,  aveva  formulato,  sul  punto,  una  precisa
     condizione (Cfr. la condizione sub lettera l),  Parere  della  I
     Commissione permanente (Affari costituzionali, della  Presidenza
     del Consiglio e interni), Bilancio di previsione dello Stato per
     l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio).